07 gennaio 2008

Per cercare di capire...


Storia del Kenya


Viene considerata la crisi più grave dall'indipendenza, cioè dal 1963. Il Kenya non ha mai conosciuto colpi di stato (tranne uno abortito sul nascere nel 1982) ed è considerato il Paese più stabile di tutta l'Africa nera (dopo il Sudafrica), specie dopo che anche la Costa d'Avorio è collassata. Il rischio che precipiti nel caos è reale e la cause vengono da lontano. I kikuyu, l'etnia maggioritaria di origine bantu, cui appartiene il presidente Emilio Mwai Kibaki, non è un'etnia omogenea. Sin dai tempi del colonialismo inglese si sono divisi per gruppi di interessi. I mau-mau, i guerriglieri che hanno lottato per l'indipendenza, facevano riferimento a un piccolo ma potente gruppo di kikuyu. Ma altri hanno tenuto fino all'ultimo un atteggiamento collaborazionista nei confronti della corona britannica. Un antagonismo tra famiglie della stessa tribù con accuse di tradimento e omicidi reciproci. Jomo Kenyatta, un fine intellettuale kikuyu considerato dagli inglesi ispiratore della rivolta mau-mau, in quegli anni viene sbattuto in galera, ma quando Londra decide di procedere con la decolonizzazione viene riabilitato a tal punto l'Economist lo presenta in copertina con il titolo: "Our man in Kenya", il nostro uomo in Kenya. Kenyatta diventa primo ministro e poi presidente del nuovo Paese, instaura ottimi rapporti con britannici e americani ma in politica interna non riesce a perdonare i kikuyu ex collaborazionisti che vengono tenuti lontani dal potere. Vicepresidente viene scelto Jaramogi Oginga Odinga (di etnia luo, di origine nilotica, padre di Raila Amolo Odinga) e segretario generale del Kanu, il partito al potere, il luo Tom M'boya. I primi anni sembrano idilliaci e il Paese va a gonfie vele grazie all'aiuto dei Paesi occidentali che lo considerano strategicamente assai importante. Ma Kanyatta commette l'errore comune a tanti leader africani. Tratta con un occhio di riguardo i kikuyu del suo gruppo, cui, ad esempio, vengono assegnate le terre più fertili e produttive nel processo di africanizzazione delle grandi aziende agricole che appartenevano ai bianchi. Gli amici di Kenyatta diventano in pochi anni l'elite politica ed economica del Paese. I luo si sentono emarginati e cercano di reagire, nel 1966 Oginga Odiga si stacca dal Kanu e forma il Kpu, Kenya People Union, un piccolo gruppo radicale di oposizione. La rottura definitiva tra kikuyu e luo avviene nel 1969 quando Tom M'boya viene assassinato da un attivista kikuyu, il Kpu messo fuori legge e i sui leader, compreso Oginga Odinga, arrestati. Quando a Kenyatta succede Daniel arap Moi le cose non vanno molto meglio. Moi è un kalenjin, uomo di compromesso tra i due gruppi kikuyu. Comincia la deriva del Kenya. La corruzione diventa rampante e fanno carriera affaristi senza scrupoli che sfruttano le loro posizioni politiche solo per fare soldi. E' in questo contesto che emerge Mwai Kibaki, una volta primo ministro di Moi e poi finito il galera. Kibaki chiama a raccolta la parte di kikuyu rimasta emarginata dai "regni" di Kenyatta e di Moi e riesce a formare una coalizione arcobaleno. Un ruolo importante viene affidato a Raila Odinga. Nel 2002 l'aggregazione di gruppi politici e tribali variegati vince trionfalmente le elezioni in nome di una lotta alla corruzione dominante e lo porta alla presidenza . "Ma Kibaki non mantiene le sue promesse - spiega Anna Maria Gentili, ordinario di Storia Africana all'università di Bologna - perchè riesce a creare una rete di corruzione ancora più attiva di quella di Moi. I suoi uomini più vicini fanno affari compromettenti e lucrosi. Mentre il Paese sprofonda nella povertà. Si moltiplicano le baraccopoli attorno a Nairobi e alle grandi città, mentre l'elite politica viaggia su macchinoni giganteschi. La sperequazioni diventano ancora più profonde. La gente vede nel gruppo dirigente i responsabili del degrado". Nel tentativo di salvarsi Kibaki riesce in un'impresa impossibile: nel nome degli affari e della corruzione riunifica i kikuyu. Si allea con il suo vecchio nemico Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo, delfino di Moi e suo antagonista alle elezioni del 2002, e con lo stesso Moi. Alla sua corte arrivano gli affaristi più screditati, mentre i luo, gli akamba, i luia e tutte le atre etnie del Paese formano un'alleanza per sostenere Raila Odinga. Parte una campagna di diffamazione nei confronti dei luo ("Di loro non ci si può fidare perché a differenza di tutte le altre tribù keniote non sono circoncisi", recita un adagio diffuso in tutto il Paese), che però a giudicare dal voto del 27 dicembre non attecchisce. Tutti gli uomini del presidente (venti ministri, il vicepresidente, i tre figli di Moi e i dinosauri della politica come il potentissimo e screditato Nicolas Biwott) vengono schiacciati nelle urne. Lo spoglio delle schede per l'elezione dei deputati è una sonora sconfitta. I luo e i loro alleati gustano già il sapore della vittoria. Quando si passa a scrutinare le schede per la presidente, Raila Odinga è saldamente in testa, ma pian piano il distacco con Kibaki si riduce. I risultati tardano ad arrivare, ci sono discrepanze tra i conti dei voti nelle varie circoscrizioni e quelli annunciati a Nairobi, gli osservatori europei vengono seccamente allontanati dai seggi dove si contano le schede e il numero degli elettori in parecchi seggi diventa enormemente superiore a quello dei cittadini registrati al voto. Il verdetto della commissione elettorale è frettoloso per permettere un rapidissimo giuramento davanti ai giudici della corte suprema: Kibaki 4.584.721 voti, Odinga 4.352.993. Scoppia la raggia dei luo che si sentono ancora una volta defraudati.

Articolo di Massimo A. Alberizzi tratto da Korogocho.org

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