27 febbraio 2009

La caduta degli "dei"


Gascoigne, inferno e ritorno"Vi racconto il mio abisso"
L'ex campione inglese precipitato nell'alcol ha rivelato a Sun i momenti peggiori della sua vita: "Comincia con due bicchieri e non mi fermai più. Da eroe nazionale ero diventato uno da ospedale psichiatrico"

Un anno da fuori di testa totale, durante il quale ha fatto veramente di tutto: dal bere senza chiudere occhio per sei settimane di fila, a sniffare coca nei bagni di un nightclub; dall’accarezzare l’idea del suicidio, a trasformare i suoi finti pappagalli in amici immaginari. Insomma, gli ultimi dodici mesi di Paul Gascoigne sono stati una vera e propria discesa all’inferno, raccontata dallo stesso campione al Sun in un’intervista-verità in due puntate (la seconda verrà pubblicata domani e sarà dedicata all’ex moglie Sheryl che, parole sue, "lo ha dissanguato”).
"Ero precipitato in un abisso – dice Gazza – ma adesso il futuro mi appare davvero grandioso. Non posso dire che non berrò mai più, ma quello che posso dire è che non ho bevuto oggi e che spero di non bere domani”. Gascoigne è reduce dall’ennesimo periodo in clinica a disintossicarsi, ma questa volta il mese passato alla Sporting Chance Clinic di Tony Adams pare aver dato buoni risultati, chiudendo così un 2008 assolutamente orribile per l’ex stella di Tottenham e Lazio. Tutto cominciò dopo l’operazione all’anca del dicembre del 2007. In ospedale Gascoigne non toccò un goccio di alcool, ma non appena dimesso, solo nella sua casa di Jesmond, si attaccò alla bottiglia per vincere la solitudine e fu l’inizio della fine.
"Non ricordo esattamente quando e perché ripresi a bere dopo l’intervento, ricordo solo che era Natale e che avevo voglia di farmi un goccio. Cominciai con un paio di bicchieri di vino e non mi fermai praticamente più. Dopo una settimana, non ero più in grado di badare a me stesso, così mi spostai al Marriott Hotel di Gateshead, dove mi scolai di tutto, dal vino alle bottigliette di gin del minibar. Ed è stata in quell’occasione che è iniziata la mia dipendenza dalla Nintendo Wii: ci giocavo praticamente 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Non riuscivo a smettere e non dormivo né mangiavo, per non dover essere costretto a staccarmi anche solo per pochi minuti. Ero diventato imbattibile a bowling e sfidavo quelli dell’hotel. Anzi, arrivavo addirittura a chiamare il servizio in camera proprio per avere qualcuno contro cui giocare”. Dopo quattro settimane di quell’andazzo, lo staff del Marriott gli chiese di andarsene e Gazza si trasferì così al Malmaison, dove ricominciò esattamente come prima.
"Ero in una stanza diversa, ma i problemi erano sempre gli stessi. Bevevo come una spugna e giocavo con la console, ma iniziai anche a fare delle cose assolutamente incredibili, come telefonare a mio padre e dirgli di tenersi pronto perché saremmo andati al Madison Square Garden a giocare a scacchi contro Bush e Clinton. Ero in un mondo tutto mio, dal quale non volevo uscire. Ad un certo punto, ordinai due pappagallini-giocattolo, che ripetevano quello che dicevo e cominciai a pensare che fossero le due sole persone che volessero parlare con me. Così, presi a considerarli reali, tanto che una volta ordinai tre pinte di birra, una per me e una per ognuno di loro”. Anche la permanenza al Malmaison finì su richiesta del direttore dell’hotel, esasperato dai comportamenti da matto di Gascoigne che disturbavano gli altri clienti. Ma quando l’ex campione tentò di registrarsi all’Hilton, arrivarono i poliziotti che lo portarono di peso al Middleton St George Hospital, dove venne internato.
"Non riuscivo a crederci: da eroe nazionale ero diventato uno da ospedale psichiatrico. Non mi sono mai sentito così imbarazzato e pieno di vergogna come in quel momento”. Anzi, no. In un’altra occasione Gazza provò vergogna di sé. Fu quando sniffò qualche striscia di cocaina nel bagno di un locale. "Subito dopo averlo fatto, mi sentii così deluso di me stesso da farmi quasi schifo. Non so cosa sperassi di ottenere, ma so che comunque non funzionò, anzi mi fece stare ancora peggio. Rimpiango di averlo fatto, ma l’unico modo per superarlo è quello di ammetterlo. So di aver deluso la mia famiglia, gli amici e i miei tifosi, ma sono comunque orgoglioso di averlo confessato e mi piace pensare che ormai è passato e che non lo rifarò mai più”. Dopo 12 giorni nell’ospedale psichiatrico, a Gascoigne venne concesso di stare a casa del padre John a Gateshead, dove però non rimase molto.
A maggio venne, infatti, trovato addormentato nella vasca da bagno del "Millenium Hotel” di Londra e venne salvato dai poliziotti. Gazza negò i propositi suicidi, ma finì internato una seconda volta e la famiglia decise di mandarlo alla Priory. E, almeno inizialmente, la cosa parve funzionare: lui sembrava in ripresa e tentò persino di riconciliarsi con la ex moglie Sheryl, ma in estate proprio un violento litigio con la donna fece precipitare di nuovo le cose e Gascoigne se ne andò in tour con gli Iron Maiden. Ma era in condizioni talmente penose (soffriva di perdite di memoria quotidiane) che gli stessi membri della band si spaventarono e fecero in modo di rispedirlo a casa, dove però i suoi stessi familiari si rifiutarono di accoglierlo.
Anche la successiva fuga in Portogallo si trasformò in un disastro: Gazza restò chiuso in albergo per 18 giorni senza toccare alcool, ma una volta uscito si attaccò alla bottiglia per 48 ore di fila, collassando in un bar e finendo nuovamente in ospedale. Tornato in Inghilterra, la famiglia decise per il ricovero in una clinica specializzata nel Gloucestershire, dove l’ex stella della Nazionale inglese ha seguito un pioneristico programma di disintossicazione, prima di essere trasferito alla Sporting Chance di Adams per l’ultimo atto della rinascita. Ora Gascoigne è sobrio da tre mesi e sta cercando casa, ma l’inferno che ha passato non lo dimenticherà mai più. "Quando ho visto le sbarre dell’ospedale psichiatrico, è stato un vero colpo al cuore. Non voglio più rivivere una cosa del genere e so che per riuscirci dovrò combattere questa sfida ogni giorno per il resto della mia vita”.

Articolo tratto da Gazzetta.it

26 febbraio 2009

Rally di beneficienza


Il rally degli studenti

Una delle Renault R4 impegnate nella 12esima edizione del "4L trophy", un rally sulle piste del deserto marocchino riservato a equipaggi europei composti da soli studenti. La finalità della gara è quella di raccogliere fondi per la scolarizzazione di 5000 bambini del paese africano nel quale si svolge la competizione.

Articolo tratto da Corriere.it

"Meglio far gola che pena"


Grasso è bello in Mauritania
Le nuove generazioni però si oppongono al leblouh, la pratica dell’ingrassamento delle donne


Grasso è bello. Per lo meno in Mauritania, nelle zone rurali, è ancora così. Le nuove generazioni però si oppongono alla pratica tradizionale dell’ingrassamento, scrive il sito web Magharebia.com. La pratica del leblouh di origine arabo-berbera consiste nel far mangiare enormi quantità di cibo, se necessario a forza, alle bambine e alle ragazze, spesso prima del matrimonio, in quanto l’obesità è tradizionalmente considerata segno di bellezza. Essere grassi significa anche essere in salute e ricchi. Una ragazza magra non solo rischia di restare senza marito, ma è anche «una vergogna per la famiglia in alcuni paesi, specialmente nelle zone più remote», ha spiegato un’insegnante locale.
Una generazione fa, un terzo delle donne del paese veniva «messo all’ingrasso», ma oggi accade a una su dieci, secondo il governo della Mauritania, che ha lanciato diverse campagne contro questa pratica. Magherebeia.com cita uno studio di un’associazione locale secondo il quale accade all’80% delle ragazze nelle aree rurali e solo al 10% nelle città, ma con lo spostamento verso le zone urbane, è diventato più comune anche lì. «Ho praticato il leblouh con mia figlia Leila quando aveva 10 anni, perché volevo che si sposasse e avesse bambini al più presto», ha detto una donna di nome Khadija a Magharebia.com. «È la stessa cosa che mia madre, Dio la protegga, fece con me».
Le ragazze si oppongono per varie ragioni. «L’epoca delle tende e della vita nel deserto è passata», dice Fatimetou, una studentessa 22enne. «Siamo nell’era della globalizzazione, e il fenomeno del leblouh ha perso significato, deve scomparire». Mariem, un’altra studentessa, è più preoccupata dalle conseguenze dell’obesità per la salute. «Ci sono così tante donne che non possono uscire di casa perché pesano troppo». Ospedali e cliniche private ne ricevono molte con problemi legati all’obesità. Anche i ragazzi più giovani, in città almeno, hanno gusti diversi. «Vogliamo mogli magre», ha detto Yusuf, un negoziante di 19 anni, alla Bbc. «Ma ad alcuni piacciono grasse».
Soprattutto nelle campagne, inoltre, l’ingrassamento si accompagna a matrimoni precoci. «Sono stata costretta a sposarmi a 14 anni», racconta Vayza. «Mi sento così triste quando vedo le mie amiche con corpi snelli che frequentano le superiori». A volte le famiglie pagano ingrassatrici professioniste, per assicurarsi che il peso delle figlie aumenti. «Mi picchiava quando non riuscivo più a mangiare e quando stavo per vomitare», racconta Hoda, che aveva allora 8 anni. «Mi faceva bene cinque litri di latte da un enorme contenitore. Era come se il mio stomaco ogni volta stesse per esplodere». Selma racconta che aumentò rapidamente di peso, arrivando a 80 chili all’età di 15 anni.
«Faccio mangiare loro molti datteri, moltissimo couscous e altri cibi grassi», ha raccontato Fatematou, una voluminosa sessantenne, alla Bbc. Dirige una «fattoria dell’ingrasso» nella città di Atar, nel nord desertico. «Le faccio mangiare, mangiare e mangiare e poi bere tantissima acqua per tutta la mattina e poi possono riposarsi. Si ricomincia di pomeriggio. Facciamo così tre volte al giorno, mattina pomeriggio e sera». A volte le bambine «piangono e urlano», ha confermato, ma «si abituano alla fine». Arrivano a pesare tra i 60 e i 100 chili. «Ho visto partorire ragazze di 10 anni. Dieci anni! Quando sono grasse e belle, possono servire bene i loro mariti».


Articolo tratto da Corriere.it

25 febbraio 2009

L'utopia del "Web semantico"

Deep Web, dove non arriva nemmeno Google

C'è un mondo oltre Google. Questo è poco ma sicuro. Solo che oggi ha un nome: Deep Web, la rete profonda, quella dove anche il motore di ricerca più potente del mondo non riesce ad arrivare. Per quanto possa risultare difficile da credere, oltre i trilioni di pagine web indicizzate dall'algoritmo di Mountain View c'è un oceano di siti, indirizzi web, informazioni che aspettano solo di essere catalogati e portati in superficie. L'attesa è legata non tanto a un difetto dei tradizionali motori di ricerca quanto a una caratteristica intrinseca di internet. Per trovare i contenuti in rete si utilizzano dei software ragno, (web crawler in gergo tecnico). Si tratta di programmi-segugio che saltabeccano di collegamento in collegamento (hyperlink) in modo automatico senza una guida acquisendo una copia testuale di tutti i documenti visitati allo scopo di inserirla in un indice di un motore di ricerca. Questi strumenti si sono rivelati inefficaci a scovare le risorse del Deep Web in quanto non sono in grado di interrogare per esempio un database di una pagina dinamica dato il numero infinito di termini che si potrebbero ricercare. In sostanza, riescono a sclafire solo la superficie, non vanno per usare una metafora oltre la seconda domanda, ovvero non eseguono percorsi all'interno di più data base. Secondo Brightt, società statunitense specializzata nell'indicizzazione di contenuti dinamci, questo difetto avrebbe permesso agli attuali motori di catalogare poco meno dell'1% dei contenuti presenti su internet. Ecco perché stanno nascendo nuovi software per aggredire il Deep Web. Come ad esempio, scrive il New York Times, Kosmix , una start up nata per scavare laddove non c'è un collegamento ipertestuale. File Pdf, contenitori audio-video, banche dati ad accesso ristretto sono contenuti finora inaccessibile ai tradizionali ragni. A questo va aggiunto il fatto che il crawler è tutto sommato stupido. Non ragiona come un essere un umano e non risponde a domande. Con gli attuali motori si inserisce una parola e il ragno scova tutti i contenuti che contengono o sono collegati a quel termine. In altri termini, le attuali tecnologie di ricerca non possono rispondere alle interrogazioni complesse come la domanda: «Qual è il dottore migliore, vicino casa mia, in grado di curare una determinata malattia». Ecco perché da oltre cinque anni il Web semantico resta una delle grandi promesse non mantenute della rete. Rendere internet un ambiente capace di fornire risposte evolute resta la sfida sottesa al censimento del Deep Web.

Articolo tratto da Corriere.it

"Supereroi"


Gb: boom dei guanti da Wolverine, nuova arma per le gang giovanili
Sequestrati diversi pacchi comprati via web, contenenti gli artigli d'acciaio che imitano quelli dello X-Men

Il coltello non basta più. Ora il nemico non va solo colpito, ma anche terrorizzato. Le bande giovanili britanniche, stanche delle normali armi da taglio, vogliono gli affilati artigli nello stile del supereroe degli X-Men, Wolverine, per farsi rispettare. Il tabloid britannico «Sun» riferisce che la polizia britannica ha intercettato diversi pacchi provenienti dagli Stati Uniti contenenti guanti che riproducono la mano dell'eroe degli X-Men: tre lame d'acciaio e un teschio di metallo all'altezza del polso, che fa impallidire qualsiasi arma da taglio di vecchia generazione.
L'ultimo pacco, trovato all'aeroporto di Coventry, era diretto a Peckham, a sud di Londra. Nel pacco, due guanti, per il valore di 40 sterline l'uno. «Con questo guanto attaccato al tuo braccio, non ci saranno più dubbi su chi comanda - si legge nella descrizione del prodotto sul sito americano che lo vende - perfetto per sventrare i nemici». Non è nuova l'emergenza armi da taglio soprattutto a Londra, dove l'anno scorso sono stati accoltellati 28 ragazzi, ma sembra che i normali coltelli siano ormai superati e i ragazzi vogliano provare qualcosa di più pericoloso. La scoperta mette in allerta la polizia. «Non si dovrebbe permettere che per le strade del nostro Paese girino armi così», ha detto al Sun Richard Taylor, padre di un ragazzo accoltellato da una banda a Peckham nel 2000.

Articolo tratto da Corriere.it

24 febbraio 2009

Come trovare una "specie in via d'estinzione"


Osama "specie in via d'estinzione"ecco la "tana" del superfuggitivo
Sulla rivista del Mit la ricerca di un autorevole professore Usa: con i criteri applicatialle migrazioni ha individuato un villaggio del Pakistan. Ed è subito polemica

Come trovare Osama bin Laden, il ricercato numero uno al mondo ? Se l'è chiesto a lungo George W. Bush, negli anni della sua guerra al terrore, e ora che il problema sembra passato in secondo piano, a causa della recessione, ecco arrivare una risposta sorprendente: con il ragionamento scientifico e una tecnologia a disposizione di tutti come Google Earth. A sostenerlo è il professore di Geografia dell'Università della South California Thomas Gillespie. Nella sua ricerca pubblicata sull'International Review del Massachusetts Institute of Technology, ha applicato al capo di Al Qaeda le stesse teorie di biogeografia usate per identificare la posizione nel tempo e nello spazio delle specie animali in pericolo di estinzione: si valuta il luogo dell'ultimo avvistamento e poi si applica la teoria secondo cui, più ci si allontana nello spazio da quel posto, più diventa improbabile trovare condizioni favorevoli alla sopravvivenza, che nel caso degli esseri umani equivale a dire persone che hanno lo stesso credo religioso, parlano la stessa lingua, e così via. Per dare risposta a "una delle domande politiche più importanti del nostro tempo", Gillespie ha incrociato vari dati, valutandoli sotto il profilo globale, regionale e locale: non solo l'ultima posizione certa del fuggitivo, ovvero Tora Bora, ma anche il fatto che ha bisogno di dialisi, ha bisogno di soffitti alti data la sua imponente statura e si contorna di numerose guardie del corpo che necessitano di stanze dove soggiornare. Tramite l'analisi delle foto satellitari e delle notizie di intelligence di dominio pubblico, il professore ha quindi individuato con un lungo ragionamento il paesino pakistano di Parachinar, a una ventina di chilometri dall'Afghanistan, come il luogo in cui consiglia a Cia ed Fbi di andare a cercarlo. Ancor meglio, nello studio si individuano tre edifici che potrebbero fungere dal nascondiglio: due strutture residenziali e quella che sembra essere una prigione.Il clamore generato dalla ricerca ha fatto piovere addosso a Gillespie numerose critiche di chi ha fatto notare l'inopportunità di pubblicarne i risultati sul web, facilitando l'eventuale fuga di Osama, nel caso fossero veri. Ma anche e soprattutto di chi la mette in dubbio, come il professore della Ryerson University Murtaza Haider, di origini pachistane: con una lettera pubblicata dalla stessa International Review, ha fatto notare come difficilmente un sunnita come bin Laden cercherebbe nascondiglio nell'unica città a maggioranza sciita della regione tribale del Pakistan. Tuttavia riconosce quella carenza di intelligence nella zona da parte del governo Usa, stimolo che forse ha spinto Gillespie ad azzardare la soluzione, usando ragionamenti sì raffinati, ma anche una tecnologia ormai alla portata di tutti grazie a Google Earth. L'aspetto più interessante della ricerca sembra essere proprio una delle riflessioni fatte in conclusione: si è detto per molto tempo che bin Laden si nasconderebbe in una grotta, ma questo tipo di soluzione, spiega Gillespie, richiederebbe comunque un approvvigionamento continuo di viveri, medicine e altri beni, facilmente individuabile con la miriade di occhi elettronici in orbita nello spazio. Considerata la potenza dei satelliti spia americani, se bin Laden fosse veramente in una grotta, non lo avrebbero già stanato?


Articolo tratto da Corriere.it

23 febbraio 2009

I delinquenti ringraziano


Ronda su ronda

L’esordio delle temibili ronde padane a Padova è andato al di là di ogni più rosea (anzi verde) previsione. Alcune decine di siori e siore in menopausa, pittorescamente addobbati da Carnevale della sicurezza e scortati da alcuni parlamentari di Lega e An a favore di telecamera, si sono mobilitati con aria minacciosa contro il crimine che notoriamente dilaga e altrettanto notoriamente suole passeggiare nel dopocena a volto scoperto per le strade e le piazze delle grandi città. Purtroppo l’altra sera, la sera della «prima», nessuno stupratore, rapinatore, borseggiatore, topo d’appartamento s’è fatto scovare e ammanettare dall’invincibile armata. Forse erano in ferie, o in pausa settimanale, o più probabilmente han preferito agire di nascosto, lontano da occhi e telecamere indiscreti. Magari svaligiando la villetta di un rondista, profittando della momentanea assenza del padrone di casa impegnato nella ronda. In compenso la pattuglia dei tutori dell’ordine privatizzato s’è imbattuta nella sua parodia speculare: la «Rondinella rossa» di Rifondazione comunista, anch’essa molto variopinta grazie alle maschere e ai cappellini del Carnevale tradizionale. Rondisti e controrondisti sono subito venuti alle mani: spintoni, insulti, qualche uovo marchiato col «Sole delle Alpi» padano. Fortuna che c’era la Digos, presente in forze a far da cuscinetto fra gli opposti rondismi per evitare guai peggiori. È la prova che le ronde servono: quando scendono in strada, la polizia deve dedicarsi a loro anziché ai delinquenti. Che ringraziano sentitamente il governo della sicurezza. La loro.

Articolo tratto da L'Unità.it

Dare più risorse alle forze dell'ordine (che magari sono anche addestrate per compiere il lavoro) no?!