10 dicembre 2008

Spleen esistenziale...


Banda di ragazzini distrugge stazione «Ci annoiavamo, che male c'è?»

Denunciati quattro maschi e tre femmine tra i 13 e i 17 anni. I genitori: «Non hanno fatto male a nessuno»

Non sapevano come festeggiare Halloween, cercavano emozioni forti, volevano andare oltre la noia e la routine, oltre il lecito. Ecco perché sette ragazzini di Avigliana (Torino), quattro maschi e tre femmine tra i 13 e i 17 anni, la notte del 31 ottobre hanno distrutto a calci la cabina di un ascensore per disabili nella locale stazione ferroviaria. Individuati grazie alle riprese della telecamera di sicurezza, sono stati denunciati dai carabinieri di Torino. I quali sono rimasti parecchio stupiti quando, interrogando gli autori dell'atto vandalico, si sono sentiti rispondere: «L'abbiamo fatto per noia, per divertirci un po' tutti insieme, ma in fondo cosa avremo fatto mai di così grave?». Uno di loro però ha ammesso di essere anche arrabbiato, oltre che annoiato.
Un atteggiamento, quello di minimizzare l'accaduto, tenuto, sempre davanti agli inquirenti, anche da alcuni dei genitori dei ragazzi: «Hanno fatto dei danni, è vero, ma non hanno fatto male a nessuno». Altri però se la sono presa con i figli. Resta il fatto che i sette ragazzini, tutti di famiglie "bene", la notte del 31 ottobre andavano in giro per il paese completamente ubriachi. Nelle riprese si vede anche uno dei ragazzini svenire per il troppo alcol. Non solo: i carabinieri hanno appurato che nei giorni seguenti alla bravata, i sette hanno raccontato l'accaduto ai compagni di scuola, vantandosene. E che allo stesso gruppo va attribuito un analogo episodio di vandalismo, nella sala d'attesa della stazione, la notte del 22 ottobre. Anche in quel caso, come hanno ammesso loro stessi, erano ubriachi: nelle riprese si vede una ragazza appendersi a una finestra distruggendola e l'intero gruppetto accanirsi sul controsoffitto in cartongesso della stanza lanciandosi i pezzi.
Le Ferrovie presenteranno richiesta di risarcimento danni presso la Procura di Torino: una cifra intorno ai 6mila euro che peserà sulle tasche dei genitori dei ragazzini. I sette sono compagni di scuola, anche se di classi diverse, o vicini di casa. Avigliana è un piccolo paese della cintura di Torino dove tutti si conoscono, cosa che ha permesso al capostazione di riconoscere facilmente i ragazzi nelle riprese. Il risultato comunque è stato che le Ferrovie hanno disposto la chiusura della sala d'aspetto, prima aperta tutta la notte, dalle 22 alle 6. Il locale era divenuto negli ultimi tempi un luogo di ritrovo per i giovani, spesso usato per ubriacarsi lontano dagli occhi dei genitori.

Articolo tratto da Corriere.it

Poverini, non hanno fatto male a nessuno, si volevano solo divertire!

Rapporto annuale della fame nel mondo: "un settore" che non è mai in calo!


Salgono a 963 milioni le persone che soffrono la fame


Altri 40 milioni di persone si sono aggiunti quest'anno alla lunga lista di coloro che soffrono la fame, principalmente a causa dell'aumento dei prezzi alimentari, secondo stime preliminari pubblicate oggi dalla Fao. Questo porta il numero complessivo delle persone sottonutrite al mondo a 963 milioni, rispetto ai 923 milioni del 2007. E l'attuale crisi finanziaria ed economica - avverte l'agenzia delle Nazioni Unite - potrebbe far lievitare ulteriormente questa cifra.
«I prezzi alimentari sono calati dall'inizio del 2008, ma l'abbassamento dei prezzi non ha messo fine alla crisi alimentare di molti paesi poveri», ha dichiarato il Vice Direttore Generale della Fao Hafez Ghanem, alla presentazione della nuova edizione del rapporto Fao sulla fame. I prezzi dei principali cereali sono calati di oltre il 50 per cento rispetto al picco raggiunto agli inizi del 2008, ma rimangono tuttavia alti rispetto agli anni precedenti. Nonostante il sensibile calo degli ultimi mesi, l'Indice Fao dei prezzi alimentari nell'ottobre 2008 era ancora un 20 per cento più alto rispetto all'ottobre 2006.
Con i prezzi delle sementi e dei fertilizzanti (ma anche di altri input) più che raddoppiati rispetto al 2006, i contadini poveri non sono stati nelle condizioni di poter aumentare la produzione. Ma gli agricoltori più ricchi, soprattutto nei paesi sviluppati, sono riusciti a sostenere i prezzi più alti e ad espandere le semine. Di conseguenza la produzione cerealicola dei paesi sviluppati è probabile aumenti di almeno il 10 per cento nel 2008. L'aumento nei paesi in via di sviluppo potrebbe non essere superiore all'uno per cento.
«Se i prezzi più bassi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire le semine, l'anno prossimo potrebbe verificarsi un'altra drammatica ondata di prezzi alimentari alti», aggiunge Ghanem. «L'obiettivo del Vertice dell'alimentazione del 1996 di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 2015 richiede un forte impegno politico e finanziario di almeno 30 miliardi di dollari l'anno per l'agricoltura e per le misure di protezione sociale delle popolazioni povere».
La stragrande maggioranza delle persone sottonutrite - 907 milioni - vive nei paesi in via di sviluppo, secondo i dati 2007 riportati nel rapporto. Di questi, il 65 per cento vive in soli 7 paesi: India, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Indonesia, Pakistan ed Etiopia. I progressi in questi paesi molto popolosi inciderebbero in modo significativo sulla riduzione globale del numero degli affamati. Popolazione numerosa e progressi relativamente lenti nella riduzione della fame fanno sì che circa due terzi di coloro che soffrono la fame vivano in Asia (583 milioni nel 2007). In compenso però alcuni paesi del sud-est asiatico, come la Thailandia ed il Vietnam, hanno fatto notevoli passi avanti verso il raggiungimento dell'obiettivo del Vertice dell'alimentazione, mentre Asia del sud ed Asia centrale hanno registrato una battuta d'arresto nella riduzione della fame.
Nell'Africa sub-sahariana una persona su tre - vale a dire circa 236 milioni nel 2007 - è cronicamente affamata, dato che rappresenta la proporzione più alta di persone sottonutrite sul totale della popolazione, fa notare il rapporto. Il grosso di questo aumento si è registrato in un singolo paese, la Repubblica Democratica del Congo, conseguenza della persistente situazione di conflitto, da 11 milioni il numero è lievitato a 43 milioni (nel 2003-05) portando la proporzione delle persone sottonutrite dal 29 al 76 per cento del totale.
Nell'insieme l'Africa sub-sahariana ha fatto qualche passo avanti nella riduzione della proporzione delle persone che soffrono la fame cronica passando dal 34 per cento del biennio 1995-97 al 30 per cento del biennio 2003-2005. Ghana, Congo, Nigeria, Mozambico e Malawi sono i paesi che hanno registrato la riduzione più marcata. Il Ghana è il solo paese che ha raggiunto sia l'obiettivo di riduzione del numero, stabilito dal Vertice dell'alimentazione, sia quello della diminuzione della proporzione, stabilito dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio. La crescita della produzione agricola è stata senz'altro il fattore decisivo di questo successo.
La regione dell'America latina e Carabi era quella che nel 2007 aveva registrato i maggiori passi avanti nella riduzione della fame prima dell'impennata dei prezzi alimentari, che ha fatto salire il numero delle persone affamate a 51 milioni. I paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa hanno in generale registrato bassi livelli di persone sottonutrite, ma conflitti (Afghanistan ed Iraq) e rialzo dei prezzi alimentari hanno fatto salire il numero dei sottonutriti dai 15 milioni del biennio 1990-92 a 37 milioni nel 2007.
Alcuni paesi erano sulla buona strada per il raggiungimento dell'obiettivo del Vertice prima che i prezzi alimentari schizzassero in alto, ma «perfino questi paesi hanno subito delle battute d'arresto e parte dei progressi fatti sono stati cancellati a causa dei prezzi alti. La crisi ha principalmente colpito i più poveri, i senza terra ed i nuclei familiari con donne capofamiglia», ha detto Ghanem. «Ci vorrà un enorme e risoluto impegno a livello globale ed azioni concrete per ridurre il numero di coloro che soffrono la fame cronica di 500 milioni entro il 2015». La situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi man mano che la crisi finanziaria colpirà le economie reali di nuovi paesi.
Una domanda ridotta nei paesi sviluppati minaccia i redditi dei paesi in via di sviluppo attraverso le esportazioni. Sono inoltre a rischio le rimesse di denaro, gli investimenti e tutti gli altri movimenti di capitale, compresi gli aiuti allo sviluppo. Le economie emergenti in particolare saranno quelle che subiranno gli effetti della stretta creditizia più a lungo, anche se la crisi dovesse essere di breve durata.

Articolo tratto da Unità.it

Sete di vendetta


Iran, impiccato per alcuni minuti e deposto ancora vivo per vendetta
Giustiziato «a metà» per volontà dei familiari della vittima. Danni irreversibili a cervello e spina dorsale.

Un uomo condannato a morte in Iran è stato lasciato pendere a lungo dalla forca prima di essere deposto ancora vivo, ma con probabili danni irreversibili al cervello e alla spina dorsale, per volere dei familiari della persona che aveva ucciso. L'episodio è avvenuto domenica a Kazerun, città nel sud del Paese, secondo quanto scrive l'agenzia Irna, che titola la notizia «dolce epilogo di una esecuzione».
Un epilogo arrivato però dopo che il condannato, secondo la stessa agenzia, era rimasto appeso «per alcuni minuti».
Un tempo sufficiente per subire danni irrimediabili.
Secondo i dettami della legge islamica vigente in Iran, il condannato a morte per omicidio ha salva la vita se i familiari della vittima gli concedono il «perdono», in cambio di un risarcimento in denaro. In questo caso, evidentemente, i parenti della vittima hanno voluto assaporare la sofferenza del condannato prima di fermare l'esecuzione e intascare il denaro.

Articolo tratto da Corriere.it

Evviva la legge del taglione...che brutte cose!

08 novembre 2008

Speranze...


Un po' Clinton, un po' Reagan il nuovo stile della Casa Bianca

Afrontare subito il pubblico: lo fece soltanto il presidente Kennedy con i topolini della stampa. La battuta sul cane: sarà un incrocio come me.

Poiché la presidenza americana è stile, prima ancora che sostanza, se guidare una nazione di nazioni come questa è capacità di parlare direttamente alla gente, prima ancora di pretendere di governarla, è davvero cominciato un giorno nuovo, negli Stati Uniti.
Uno nel quale il futuro presidente sa addirittura prendere in giro sè stesso, non gli altri, e promette di regalare alle bambine un cagnolino senza pedigree, un mutt, un incrocio di razze, "come sono io", sdrammatizzando con una parola sola tutta la retorica debordante del "nero alla Casa Bianca". E ricordarci, sorridendo, che tutti, al mondo, siamo mutt, incroci di razze diverse, come lui.
Per fare quello che soltanto il suo ovvio modello, Kennedy nel 1960, fece, affrontare subito, a urne ancora calde l'esame pubblico della conferenza stampa per dirci, implicitamente e quasi subliminalmente, che lui non ha paura di quello che lo aspetta e dunque neppure noi dobbiamo avere paura, ha scelto un giorno di nuovi, e spaventosi scricchiolii dell'economia americana. 240 mila disoccupati in più, un milione e 200 mila posti di lavoro scomparsi soltanto quest'anno, la General Motors che fa sapere di avere finito i soldi.
Lo fa non perché abbia soluzioni miracolose da offrire per raddrizzare il bilancio catastrofico ereditato dal predecessore Bush, oltre l'attesa promessa di un "stimolo" di una nuova pioggia di assegni e di riduzioni fiscali per la classe media, ma per indicare da subito quale sarà il proprio stile di governo, la "trasparenza" che aveva promesso, quella voglia di "assumersi le responsabilità".
Come Reagan giocava al buon padre che rimbocca le coperte ai bambini la sera, così Barack Obama vuol dare il senso, e non ancora la sostanza, che lassù, all'ultimo piano del potere, sta entrando un giovane adulto. Non più un vecchio ragazzo.
John F. Kennedy, che adorava il rischio delle conferenze stampa e si divertiva a bluffare con i giornalisti, attese appena 48 ore, dalla vittoria strettissima dell'8 novembre al giovedì successivo, il 10, per convocare la stampa e affrontare subito il problema della Guerra Fredda. Lui ha aspettato 72 ore per mostrarci che cosa sarà "l'Obama Style", il doppio volto di un uomo capace di voli retorici quando servono per eccitare la folla, "Yes we Can!", di autoironia, per smontare il "culto" del "nero" e ricordarci che lui è, come il futuro cagnetto, tanto bianco quando nero, ma anche di gelida serietà, quando la festa finisce e arriva il conto.
Lo "stile Obama" non è quello di Kennedy, del gattone che gioca con i topolini della "press" e magari mente, come fece JFK negando di avere problemi di salute. Il "presidente eletto" come vuole il suo titolo prima del 20 gennaio, semmai ricorda quello di Franklyn Roosevelt e del suo "la sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa".
Obama è un centrista clintoniano, non quel "marxista in pectore" che la campagna avversaria aveva cercato invano di dipingere, un seguace di quel "parlare a sinistra e governare al centro" che Clinton, un altro che assaporava le conferenze stampa fino a quando fu costretto a parlare non di politica ma a mentire su "relazioni sessuali che non ho mai avuto", aveva adottato.
Governare al centro, per la classe media che è di operai come di impiegati e di "Joe l'Idraulico", è la sua proposta rivoluzionaria, dopo 8 anni di politica fiscale che aveva risucchiato la ricchezza proprio dalla classe media verso l'alto, senza ricadere. Riorientare la grande nave del governo federale verso i "paycheck" le buste paga, e non i dividendi o i bonus, è la prima cosa che ha detto ieri da "eletto", con quella serietà vellutata, ma ferrea, cordiale e distante, come vuole la "gravitas" delle istituzioni che è il suo "stile". Di uno che capito che questa terribile fine 2008 non è tempo di barzellette. Il coro muto dei clintoniani che gli facevano da sfondo, a cominciare dal suo nuovo capo di gabinetto, un altro prodotto di quella dura, cinica, realista "scuola politica di Chicago", Rahm Emanuel, era la testimonianza che il clintonismo senza Clinton è tornato alla Casa Bianca. Un Obama 1 che comincia a somigliare a un Clinton 3.
Chi ricorda le esitanti conferenze stampa di "W" Bush che le centellinava per paura, la rabbia torva di Nixon che gridava "non sono un mascalzone", sapendo di esserlo, il tedio mortifero dell'ingegnere Jimmy Carter che passava dal misticismo alla pignoleria del tecnico che spiega il funzionamento di un reattore, non può non rallegrarsi che alla Casa Bianca sia tornato qualcuno che avvicina l'abilità comunicativa di Reagan, la composta serietà di Bush il Vecchio, la capacità di sorridere, quando è giusto farlo, di Kennedy, discutendo anche del cagnetto per le bambine.
Scelta per la quale, "ho consultato ex presidenti e il presidente in carica", il cui terrier ieri ha morso la mano di un reporter, forse geloso del futuro "first dog" che lo soppianterà, del nuovo "cane supremo" e allegramente "bastardini".
Anche chi gli aveva votato contro, pensando all'arrivo di un ideologo con piani quinquennali in tasca, ha visto che alla Casa Bianca non è arrivato soltanto un uomo giovane, snello ed elegante. Ma qualcuno che invece di provare pietà per i poverelli, come proclamava Bush il "conservatore compassionevole", sa che la macchina del governo, la sola lobby dei senza lobby, deve riportarli al centro del proprio lavoro. O rischiare di distruggere il "sogno" di tutti, non soltanto quello, ora finalmente realizzato, di Martin Luther King.

Articolo tratto da Repubblica.it

Un'altra guerra senza fine


Congo, ancora scontri.
Dall'Onu appello alla pace


«La situazione nell'est del Repubblica congolese è drammatica, occorre un'immediata applicazione tutti gli accordi già firmati per garantire una pace e una stabilità durevoli nella regione».
A lanciare l'ennesimo allarme sulla crisi in Congo è stato il segretario delle Nazioni Unite, Ban
Ki-Moon, durante il summit internazionale tenutosi venerdì a Nairobi.
Al termine dei lavori, i capi di Stato hanno rivolto un appello per un «cessate il fuoco immediato» e la creazione di un corridoio umanitario per assistere la popolazione civile. A margine della conferenza, alla quale hanno partecipato anche i presidenti della Repubblica congolese, Joseph Kabila, e del Ruanda, Paul Kagame, i rappresentati degli Stati africani hanno dichiarato di essere disponib
ili a inviare forze di peacekeeper, e hanno chiesto all'Onu di rendere più forte il mandato dei caschi blu che operano già nella regione, rifornendoli di risorse adeguate. Immediata è stata la risposta delle milizie ribelli del Congresso Nazionale del Popolo, che hanno definito il vertice «un'altra riunione inutile».
Una
dichiarazione che rispecchia la chiusura di ogni fronte diplomatico e la drammaticità di un conflitto che rischia di estendersi a tutta la regione dei Grandi laghi africani. Intanto, nell'epicentro della guerra civile, la provincia settentrionale del Kivu, sono ripresi gli scontri fra i ribelli guidati da Laurent Nkunda e i Mai-Mai, i miliziani filo-governativi congolesi fiancheggiati adesso dalle truppe dell'Esercito angolano. Nella città di Kibati, a una decina di chilometri da Goma, capoluogo del Kivu, i combattimenti tra i fronti opposti hanno seminato il panico fra i rifugiati di un campo profughi, in attesa di ricevere cibo dal Pam, il Programma alimentare mondiale dell'Onu.
E a Goma, dove non si ferma l'esodo di migliaia di profughi, in fuga dalla scia di sangue provocata da ribelli e miliziani, la condizione dei rifugiati, in emergenza alimentare e sanitaria, è sempre più disperata. Secondo l'Onu, che ha inviato nel Kivu un'equipe di ispettori per indagare sulla violazione dei diritti umani e sul massacro di 20 persone da parte dei ribelli congolesi, gli sfo
llati nei campi di profughi a nord di Goma sarebbero almeno 65 mila, e altre migliaia starebbero per arrivare. L'unica notizia positiva arriva dal ministero degli Esteri tedesco, e riguarda Thomas Scheen, il giornalista belga corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung rapito martedì scorso nei territori a nord-est del Congo durante un combattimento tra miliziani e ribelli.
Scheen sarebbe in salvo e nelle mani della Monuc, la missione di caschi blu delle Nazioni Unite.

Articolo tratto da L'Unità.it

Lezioni di volo...per "ciechi"


Pilota perde la vista in volo per un infarto atterra guidato da un collega della Raf

E' successo nel Regno Unito. Alla guida di un piccolo Cessna, l'uomo ha lanciato l'allarme. Un comandante della Royal Air Force lo ha aiutato. Adesso è in ospedale.



Gli viene un infarto mentre pilotava un aereo, e perde la vista. Il pilota britannico, Jim O'Neill, ha lanciato subito l'allarme, ed è stato guidato nell'atterraggio da un pilota militare. Lo ha annunciato la Raf (Royal Air Force), l'aviazione militare britannica.
O'Neill ha chiesto aiuto dopo che improvvisamente ha perso la vista, 40 minuti dopo il decollo durante un volo in solitario dalla Scozia al Sud-Est dell'Inghilterra. Secondo la Bbc il pilota, che si trovava a bordo di un piccolo Cessna, ha perso la vista a 5.500 piedi (1.676 metri) di altezza. "E' stato terribile - ha detto il pilota - improvvisamente, non riuscivo a vedere il quadrante davanti a me".
In un comunicato stampa l'aviazione ha riferito che O'Neill ha inizialmente creduto di essere stato "abbagliato" dall'intensità della luce del sole e ha effettuato una chiamata d'emergenza chiedendo aiuto.
Successivamente si è reso conto che qualcosa di più serio stava accadendo e ha detto: "Voglio atterrare, il più presto possibile".
Il comandante della Raf, Paul Gerrard, stava proprio per fine un volo di addestramento nelle vicinanze ed è stato scelto per aiutare il pilota in panne. Il 65enne è in cura in ospedale dove sta iniziando a riacquistare la vista.

Articolo tratto da Repubblica.it

13 settembre 2008

Fantascienza?


Ecco la risposta degli americani all'Lhc del Cern europeo

La posta in gioco: una delle maggiori scoperte scientifiche potenziali nella storia dell'umanità. Ovvero capire se l'universo si ferma alle solite quattro dimensioni (le tre spaziali più il tempo) o va oltre, e forse ben oltre.
Gli strumenti, per questa gara tra scienziati: da un lato il grande Lhc del Cern europeo, appena messo in funzione, e dall'altro un minuscolo apparato che i suoi concorrenti Usa del Fermilab stanno costruendo. Una macchina puntata su una delle più misteriose e anomale particelle del nostro universo: il neutrino.
E' competizione, come è sempre stata tra la scuola europea e americana dei fisici. I primi, e da vent'anni, hanno puntato sul più grande anello di accelerazione e collisione possibile. E, dopo due decenni di progetti, prototipi, prove, hanno effettivamente messo a punto il massimo "frantumatore" di materia elementare mai realizzato. Una macchina di 27 chilometri di circonferenza, l'Lhc del Cern, in grado di esplodere un protone (contro altri protoni) per capire che cosa c'è dentro. E così trovare la chiave della gravità (il bosone di Higgs), e forse anche della supersimmetria, ovvero di quelle particelle-ombra che, alcuni teorizzano, potrebbero essere il trait d'union tra l'universo percepibile ai nostri sensi e un universo in realtà più vasto, multidimensionale, o persino (per alcuni) multiuniverso.
E quindi, forse, anche di capire, per questa via, che cosa sia questa materia oscura che circonda molte galassie, e soprattutto l'energia oscura che, con la prima, fa ben il 90% del creato, secondo le ultime scoperte dell'astrofisica.
La posta in gioco è quindi questa. Cambiare il paradigma scientifico tutto intero, arrivare a una nuova visione della materia e dell'energia.
Gli americani del Fermilab sono espliciti sulla ricerca nella multidimensionalità. Hanno dovuto abbandonare, anni fa, la strada dei super-acceleratori tipo Lhc (collaborano all'esperimento Cern, ma un po' defilati) però, a soli due giorni dall'accensione dell'anello di Ginevra, hanno annunciato qualcosa di altrettanto interessante.
Il loro punto di partenza è una particella misteriosa, anomala, una sorta di pecorella nera della fisica: il neutrino.
Piccolissimo, quasi invisibile (fino a pochi decenni fa) capace di attraversare la terra e la materia come se fosse una mongolfiera, il neutrino riserva, secondo i fisici del Fermilab, numerose sorprese.
Come quella dell'anno scorso, verificatasi nel MiniBooNe del Fermilab. Un laboratorio che studia queste particelle, emesse dal loro acceleratore (il Tevatron, molto più piccolo dell'Lhc).
Ebbene, spiega Scienfic American, i ricercatori Usa, dopo aver osservato e misurato i neutrini di provenienti dalle collisioni del Tevatron li hanno classificati secondo tre tipi, o "gusti" (flavours), neutrini electrons, muons o tau. E hanno scoperto che quelli generati dal Tevatron (in gran maggioranza di tipo "muone") si tramutavano, inesplicabilmente e rapidamente, in tipo "electron".
Un mistero, e di conseguenza un'ipotesi: che un quarto tipo di neutrino, a noi invisibile, venga immesso e rimbalzi, di continuo, in e da una misteriosa extra-dimensione. Un neutrino "inerte", capace di cambiare "flavour" ad ogni mutazione extra-dimensionale.
Sarebbe in tal caso la dimostrazione, se provata, della predizione della teoria delle super-stringhe che appunto cerca di unificare le leggi gravitazionali con la meccanica quantistica attraverso l'apporto di super-dimensioni. Da due a sedici, secondo le varie speculazioni degli ultimi vent'anni.
Oppure, dove stanno convergendo le ipotesi, la prova di un universo "doppio". Con un nucleo quadridimensionale (a noi percepibile) racchiuso in una nuvola di almeno dieci dimensioni. E il neutrino, senza carica ma con una piccola massa, autonomo dalla materia atomica, sarebbe appunto il tramite, il messaggero capace di viaggiare da una dimensione all'altra, e di mutarsi nel percorso.
Nel 2005 un gruppo di scienziati (Pas, Pakvasa, Weiler) predissero così queste mutazioni di "gusti", effettivamente rilevate l'anno scorso al Fermilab.
Oggi i fisici del MiniBooNe vogliono vederci chiaro. E hanno ideato un rivelatore per neutrini fatto di un grande contenitore criogenico (170 tonnellate di argon liquido) in cui i neutrini lasciano una traccia elettricamente visibile (uno simile è in funzione nel laboratorio del Gran Sasso dell'Infn in Italia, sotto diversi chilometri di roccia).
Questo rivelatore ad argon permetterà ai ricercatori Usa di misurare con precisione i neutrini e i loro "flavours". Le loro oscillazioni, i loro cambiamenti, le risposte a vari livelli di energia. Al 2011 il rivelatore, ora approvato dal Fermilab, comincerà il suo lavoro. E, nelle speranze dei fisici Usa, sarà solo il primo di una lunga serie.
Se, infatti, darà indizi sul mistero dei neutrini, con soli 15 milioni di dollari (contro 6 miliardi di euro dell'Lhc) avrà spalancato una porta scientifica epocale. Dimostrando che le grandi collisioni dell'Lhc (che punta, in fondo, sullo stesso obbiettivo ma via semplice frantumazione dei protoni) potrebbero non essere la sola pista di ricerca. E nessuno, oggi, può dire quale approccio si rivelerà il più produttivo di risultati.

Articolo tratto da IlSole24Ore.com

Ultime notizie da Ol Moran


Anche se nessuno ne parla più, la situazione in Kenya non è ancora ovunque molto tranquilla...


"...Dopo le infauste elezioni dell'anno scorso, la situazione non e' piu' tornata alla normalita', sono continuate come uno stillicidio infinito le razzie notturne dei Pokot a danno della povera gente colpevoli di avere qualche animale domestico.
Come vi ho mandato informazioni in questo senso altre volte, sono continuati gli scontri fra le due tribu' Samburu e Pokot, che si combattono per le zone di pascolo e le pozze d'acqua per gli animali domestici. Naturalmente quando ci sono cosi' tante armi in giro in mano ai tribali, ci scappa sempre la razzia notturna per rubare gli animali domestici delle altre tribu', come i Kikuyu e Turkana, cosi' pure qualche ferito e anche qualche morto. Risultato le tribu' stanziali sono rimaste particolarmente penalizzate dalla vicinanza di queste tribu' assai bellicose, hanno perso tutti gli animali domestici in cui confidavano, che era praticamente la loro banca, e vivono nella piu' grande poverta', diciamo pure che c'e' anche fame. Attraverso il gruppo "Giustizia e Pace" abbiamo tenuto una registrazione dati di tutti questi incidenti, con tutte le informazioni del caso e sono piu' di 130 in sei mesi! Pero' c'e' anche da dire che questi saranno circa meta' degli incidenti realmente avvenuti, perche' la gente si e' scoraggiata e non riporta neanche piu' alla polizia.
La conseguenza e' che diventa piu' difficile anche la nostra vita di ogni giorno con continui problemi creati da questa situazione irreale. Aggiungi che i funzionari del Governo e della polizia, che dovrebbero prendersi cura di questi problemi, sono stati comprati dai pastoralisti, perche' non facciano niente per raccogliere le armi illegali.
Noi cerchiamo di stare vicino alla nostra gente, condividendo i loro problemi, le loro sofferenze e difficolta': piu' volte abbiamo anche organizzato programmi di "food for work" con gli aiuti
che riceviamo dall'Italia, in modo di aiutare le famiglie che non hanno cibo, evitando il dare gratis, che crea la dipendenza. "Food for work" funziona cosi': si individua un lavoro urgente e utile per la comunita', come una diga di un laghetto, o una strada da riparare, si calcola quante persone e quanto tempo ci occorre per portare a termine l'opera, poi si tira a sorte tra quelli
che si sono presentati, perche' il numero e' sempre molto di piu' delle persone occorrenti per il progetto, poi il lavoro procede per 8 giorni al mese, ogni persona ha la sua misura di lavoro giornaliero, completato il quale puo' tornare a casa. L'ultimo giorno di lavoro si consegna il cibo che consiste in 18 Kg di granoturco, 3 kg di fagioli e 2 kg di margarina, il tutto corrisponde
a circa 10 Euro."

Don Giovanni

Lettera tratta da BlogDegliAmiciDiOlMoran

07 luglio 2008

Copioni?


La tavola che racconta la storia del messia risorto prima di Cristo

L'interpretazione dell'iscrizione su un reperto del Mar Morto divide gli studiosi.

E' uno dei reperti storici più controversi dell'antichità e la sua dubbia interpretazione da circa un decennio causa interminabili dibattiti tra insigni studiosi internazionali. Si tratta di una tavola di pietra, scoperta circa dieci anni fa vicino al Mar Morto e lunga circa 90 cm. Su di essa sono iscritti 87 versi in ebraico che narrano la storia di un Messia che sarebbe risorto tre giorni dopo la sua morte. Niente di nuovo se si pensa alla storia di Cristo narrata nei Vangeli, ma vi è un particolare davvero singolare: il reperto storico risalirebbe ad un’epoca antecedente alla nascita di Gesù. A riproporre il mistero di questa tavola di pietra, conservata all'Israel Museum di Gerusalemme, è il New York Times: il quotidiano della Grande Mela afferma che nuovi interessanti particolari su questo reperto saranno rivelati nei prossimi giorni durante una conferenza che si terrà nello stesso museo di Gerusalemme per festeggiare i 60 anni dalla scoperta dei Manoscritti del Mar Morto (i preziosissimi frammenti archeologici ritrovati in undici grotte nell'area di Qumran a metà del Novecento)
Scoperta da un antiquario giordano e in seguito comprata dal collezionista svizzero di origine ebraiche David Jeselshon, secondo alcuni studiosi questa tavola di pietra metterebbe seriamente in discussione l’originalità del Cristianesimo e della resurrezione di Cristo. Gran parte del testo riporterebbe passi dell’antico Testamento, specialmente i libri dei profeti Daniele e Zaccaria in cui l’angelo Gabriele presenta una visione apocalittica della storia di Israele. Secondo gli archeologi tra le iscrizioni presenti sulla tavola vi sarebbe anche un passo in cui è raccontata la storia di un Messia risorto dopo tre giorni. Ciò confermerebbe che una vicenda simile a quella della Resurrezione di Cristo era presente nella cultura ebraica prima che Gesù nascesse ed era ben conosciuta dai cittadini che vivevano nell’antico Israele. Successivamente sarebbe stata ripresa dai seguaci di Gesù e riadattata per diffondere la nuova fede. Altri studiosi sembrano più cauti: essi sottolineano che sulla pietra molte parole appaiono illeggibili, in alcuni punti sono addirittura scomparse, quindi è impossibile per adesso stabilire la verità.
Una ricerca pubblicata l’anno scorso da Ada Yardeni e di Binyamin Elitzur, entrambi studiosi di iscrizioni antiche, sulla rivista specialistica «Cathedra» gettò una nuova luce sul mistero della tavola di pietra: l'articolo, intitolato «La rivelazione di Gabriele» confermava che la pietra risalisse al I secolo A.C. e i due studiosi mettevano in dubbio che il tema del Messia risorto fosse un evento raccontato per la prima volta dai Vangeli cristiani. A dire il vero già nel 2000 il professor Israel Knohl della Hebrew University aveva presentato una dettagliata e originale interpretazione sulla contiguità tra la resurrezione di Cristo e un precedente racconto ebraico che aveva come tema il Messia risorto. Nel libro intitolato «Il Messia prima di Gesù» Knohl asseriva che il protagonista della resurrezione di cui parla la tavola di pietra era un certo Simone, un condottiero ebreo che avrebbe scatenato una rivolta all’indomani della Morte di Erode per liberare Israele dal giogo romano. Tale vicenda sarebbe presente anche nel Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo e la rivolta sarebbe stata brutalmente soffocata dalle armate romane. Secondo lo studioso, la tradizione narrava di questo condottiero, che sebbene ucciso, sarebbe risorto tre giorni dopo la morte e avrebbe aperto la strada della libertà al popolo di Israele. Secondo lo studioso ciò risulta chiaro nei versi 19-21 presenti sulla tavola di pietra nei quali si può leggere: «In tre giorni tu saprai che il diavolo sarà sconfitto dalla giustizia» mentre in altre righe si legge che il sangue e la morte del Messia sono la strada che porterà alla giustizia. Infine in due altri versi successivi, difficili da decifrare, Knohl sostiene che vi siano scritte le testuali parole: «Dopo tre giorni tu rivivrai, Io, Gabriele, te lo comando» (Gabriele è l'arcangelo che secondo la religione ebraica era il messaggero di Dio. Nel Vangelo di Luca è lui ad annunciare a Maria che partorirà il figlio di Dio)
«Questi versi mettono in discussione l'originalità del Cristianesimo» afferma il professor Knohl. «La resurrezione dopo tre giorni del Messia è qualcosa che esisteva già nella tradizione ebraica prima che Cristo comparisse sulla Terra». Tuttavia molti studiosi non sembrano accettare le tesi del professor Knohl. La stessa ricercatrice Yardeni sostiene che sebbene la tavola di pietra mette seriamente in discussione l'originalità del tema della resurrezione, è abbastanza discutibile affermare che il personaggio storico Simone sia il Messia da cui poi i cristiani avrebbero tratto ispirazione. Anche il professor Moshe Bar-Asher, docente emerito di Ebraico e Aramaico all'Università Ebraica di Gerusalemme appare scettico: «In passi cruciali del testo mancano troppo parole».

Articolotratto da Corriere.it

Oltre alle gambe c'è di più...


La calda estate di Green nelle baraccopoli del Kenya


Il video è da pugno nello stomaco e mostra un ragazzo biondo in bermuda e maglietta rossa che cammina per le luride stradine di un villaggio africano.
Dappertutto, cumuli di immondizia e il fantasma dell’Aids che sembra accompagnarlo ad ogni passo.
Il visitatore è Robert Green, che di mestiere fa il portiere del West Ham a 2
milioni di sterline l’anno (2,5 milioni di euro) e che, al contrario dei colleghi della Premier League che in questi giorni si stanno crogiolando al sole in qualche località esclusiva, per le sue vacanze ha optato per una destinazione decisamente meno glamour ma non meno sconvolgente, ovvero le baraccopoli del Kenya.
, infatti, Green ha trascorso tre settimane a lavorare come volontario per raccogliere fondi per l’AMREF (“The African Medical and Reserach Foundation”) e, prima di tornare a Londra per dare inizio alla nuova stagione con gli Hammers, il giocatore ha affidato al “Sun” il racconto dei suoi 21 giorni in mezzo all’inferno. “La prossima volta che mi lamenterò perché devo stare in un hotel a cinque stelle prima di una partita, penserò alla gente che vive qui. Le loro storie mi hanno colpito davvero moltissimo, ho visto una famiglia di sei persone vivere in una baracca più piccola della mia cucina, ho assistito a scene di violenza e miseria. Noi giocatori viviamo in una bolla, per carità la nostra è una vita meravigliosa, ma io voglio rapportarmi anche con il resto del mondo. Non mi ricordo quello che ho fatto l’anno scorso in vacanza, ma di sicuro questo viaggio lo ricorderò per sempre”. E le immagini parlano chiaro: a Kibera, la seconda baraccopoli più grande dell’Africa, la gente muore di tubercolosi e Aids praticamente ogni giorno. “Non è Saint Tropez, questo è poco ma sicuro – ha proseguito Green – e la prima cosa che ho avvertito quando sono sceso dalla jeep è stato il fetore, causato da un miscuglio di plastica bruciata, legno arso e rifiuti umani. Un odore nauseabondo che mi è rimasto appiccicato addosso ai vestiti per giorni interi”.
Il
portiere ha fatto anche l’arbitro in una partita di calcio fra i piccoli di Kibera, che si sono presentati davanti alla celebrità in visita sfoggiando orgogliosi le magliette del Manchester United, dell’Arsenal e dell’Inghilterra, perché qui, fra questi vicoli maleodoranti, dopo la religione, l’ossessione vera si chiama Premier League. “Non condanno il mondo del calcio – ha concluso Green – perché è la mia vita da 20 anni e adoro quello che faccio. Ma d’ora in avanti, quando qualcuno mi chiederà che cosa ho fatto della mia vita, potrò dire di aver visto un altro aspetto dell’Africa”.

Articolo tratto da Gazzetta.it

28 giugno 2008

Informazione alternativa


Una Tv per raccontare un'altra Nairobi

Slum TV è una televisione creata da un gruppo di giovani filmakers e fotografi kenioti di Mathare, una delle baraccopoli più violente e popolose di Nairobi. Nella loro tv storie di vita ordinaria e solidarietà.
Di Slum TV non si è mai occupato nessun quotidiano né rivista in Italia.


"Il mio nome è Cosmas Nganga. Sono nato a Mathare 31 anni fa. Ho fatto tante esperienze finora. Nascere in uno slum significa vivere una grande sfida. Dopo le elezioni presidenziali, ci sono stati scontri, molte persone sono state uccise, molte case bruciate. Molti hanno perso tutto quello che avevavo. Anche io non ho più nulla, l'unica cosa che mi resta sono questi pantaloni che indosso. I miei vicini appartengono alla tribù Luo, io sono l'unico kikuio e sono stato costretto a fuggire". Scorrono nitide come sequenze le immagini che evoca Cosmas Nganga, poche, lapidarie, drammatiche istantanee delle sue ultime giornate in una delle baraccopoli più violente di Nairobi: Mathare. Mathare: 400.000 abitanti, il 10 % della popolazione totale della capitale sopravvive in questa terra che si estende per 1,5 km². In un'area grande quanto 200 campi da calcio convivono 42 gruppi etnici. È la seconda baraccopoli per grandezza del Kenya e una delle più povere tra le 199 censite da Un Habitat, l'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei senza casa a Nairobi. "Insediamenti informali", così sono definiti gli slum, occupazioni popolari non legali. Esistono, ma non sono riconosciuti dal governo. È il 30 dicembre scorso quando, dopo la proclamazione del presidente Mwai Kibaki contestata dal capo dell'opposizione Raila Odinga, hanno inizio gli scontri. Kibaki, leader del Pnu, è della dinastia Kikuyo, Odinga, leader dell'Orange democratic movement (Odm), è dei Luo. Il bilancio fornito da Abbas Guillet, responsabile della Croce Rossa locale, parla di oltre mille morti, migliaia di feriti e 304mila senza più un tetto. Un vero teatro di guerra civile, su cui sempre di più sembra calare il sipario del genocidio, lo stesso che ha chiuso e dannato nel silenzio un altro terribile palcoscenico della storia: il Ruanda. Nel corso di questi scontri un'intera parte di Mathare è stata saccheggiata, bruciata e poi rasa al suolo. Dietro le parole di Cosmas Nganga, aleggia il fantasma di uomini torturati e derubati. Arsi vivi insieme alle proprie abitazioni. In una spirale di violenza che ha affamato e armato di odio due etnie, Luo e Kikuyo, in una vera e propria carneficina che ora, dopo il mancato accordo tra il Presidente Mwai Kibaki e il Primo Ministro Raila Odinga per la formazione di un governo di unità nazionale, rischia di insanguinare di nuovo il paese. Eppure, dentro questa storia di sangue, odii e vendette, ce n'è un'altra, diversa, che aspetta di essere raccontata. A farlo è Slum TV, una televisione creata da un gruppo di giovani filmakers e fotografi keniani che vivono a Mathare. E che si sono mobilitati in segno di protesta contro la stampa internazionale. La loro prima denuncia arriva all'indomani dei primi scontri dal quotidiano britannico "The Independent": "I media hanno volutamente mostrato solo una parte della realtà, quella negativa" dice Benson Kamau, operatore che ha seguito e filmato il conflitto fin dall'inizio. "Noi mostriamo il bene e il male - continua Kamau - quello che succede dietro le quinte." Così mentre il mondo riprendeva solo le immagini degli scontri scoppiati dopo l'annuncio dei risultati elettorali, i giovani operatori e fotografi raccoglievano storie di solidarietà. Donne di etnia Luo che ospitavano famiglie di etnia kikuyo. Centri di assistenza gestiti da donne keniane nei luoghi in cui le agenzie internazionali non si avventurano, talmente alto è il rischio. Un gruppo di uomini che salvano la vita ad un uomo di un'etnia diversa dalla loro. Gli operatori hanno frequentato solo un corso di due settimane di ripresa e montaggio, imparando da soli le regole basilari del mestiere. Nelle loro mani, una sola videocamera. È un grande impegno: informare e poi formare gli altri attraverso dei corsi. Nata nella strada e per la strada, Slum tv vuole cogliere la vita e l'identità profonda di questa che è una vera e propria città nella città. Una volta al mese, i loro video vengono proiettati davanti a centinaia di persone nella baraccopoli. Nei suoi quasi due anni di vita i principali successi sono state proprio le testimonianze di vita ordinaria. Superando i confini del già visto, questi giovani sono riusciti a fermare quei gesti di umanità che si aprivano, improvvisi, tra lo scorrere di una quotidianità fatta di dolore e distruzione. Alexander Nikolic, artista di origine serba, ci racconta come il fine sia quello di lavorare insieme per realizzare alla fine un archivio, una memoria. "La gente del quartiere - dice Nikolic - guarda la televisione in pubblico: calcio inglese e bolckbusters hoollywoodiani. Abbiamo, dunque, pensato che sarebbe stato più facile applicare le regole della televisione delle origini, in cui qualsiasi proiezione nelle sale cinematografiche era sempre accompagnata da un notiziario. Che, poi, inseriamo in un archivio affinché non si perda. In futuro, quando i cellulari avranno delle telecamere migliori, i video potranno essere uploadati dovunque." Negli ultimi tempi, il principale operatore, Julius Mwelu, ha filmato uomini feriti a colpi di machete, poliziotti aprire il fuoco contro la folla con fucili AK47. "Fino ad oggi il nostro girato era più innocuo, ammette la coordinatrice del progetto, Sam Hopkins, ma quello che ha girato Jilius non è innocuo. Non credo che potremmo mostrarlo a Mathare." Oggi Slum tv rappresenta qualcosa di più e di diverso di una semplice emittente locale. È, prima di tutto, un segnale di speranza. Per Cosmas Nganga e per tutti gli altri giovani dello slum che si ritrovano e raccontano fin dal sito internet. Con il sogno di vedere, attraverso una nuova lente, un presente meno buio e un futuro di pacificazione più vicino. Con in mano la loro videocamera e una nuova storia da raccontare.

Articolo tratto da Korogocho.org

Sorpresa!!!


Un pitone di due metri spunta dal water

Spavento per il proprietario di un appartamento al decimo piano. «Il serpente ha viaggiato attravero le tubature».

Una scena degna di un film horror: un cittadino di Darwin, una città tropicale dell'Australia settentrionale, è andato in bagno e ha visto spuntare un pitone di quasi due metri dal suo water.
Il giornale locale "Northern Territory News" spiega che l'appartamento era al decimo piano di un condominio. Il cacciatore di serpenti Chris Peberdy ha detto al giornale che il pitone, che probabilmente è scappato dalla casa di qualcuno, ha viaggiato attraverso le fognature. «Quando l'ho visto sono rimasto scioccato - ha detto - Non c'è altro modo possibile in cui avrebbe potuto arrivare lì. L'ho dovuto lavare perché era tutto bagnato e un po' maleodorante».

Articolo tratto da Corriere.it

25 giugno 2008

Il reggi...vita...


Si perde sulle Alpi
salvata dal reggiseno
Jessica Bruinsma, un'alpinista americana di 24 anni, è rimasta isolata per quasi tre giorni in un crepaccio sulle montagne bavaresi. Sopravvissuta dopo un volo di quasi cinque metri, se l'è cavata allertando i soccorritori con un insolito sos.

Si è salvata usando il reggiseno come segnale di soccorso, dopo essere rimasta isolata per tre giorni in un angusto crepaccio sulle Alpi bavaresi. Jessica Bruinsma, un'alpinista americana di 24 anni, se l'è vista davvero brutta.
Di Jessica si erano perse le tracce il 16 giugno, dopo che era uscita con un amico per un'escursione vicino al confine austriaco. Sulla strada di ritorno, a causa del maltempo, è scivolata su una sporgenza rocciosa e ha fatto un volo di quasi cinque metri, lussandosi una spalla e ferendosi in maniera seria a una gamba.
Ma la giovane americana ha mantenuto il sangue freddo e ha reagito prontamente. "E' stata molto intelligente" ha commentato l'ufficiale di polizia che ha diretto i soccorsi."Ha continuato ad indossare giacca e maglietta per riscaldarsi, ma ha pensato subito che avrebbe potuto usare il reggiseno come segnale di soccorso". Jessica, che aveva con sé solo l'acqua della borraccia, ha attaccato il reggiseno a un cavo del meccanismo che i boscaioli utilizzano per spostare il legname in montagna.
Quando il sistema di trasporto dei tronchi si è rimesso in moto, quasi 70 ore dopo, i taglialegna, che erano stati informati della sua scomparsa, hanno notato il reggiseno e hanno subito allertato la polizia.
I soccorritori in elicottero hanno seguito il cavo e poco dopo hanno trovato Jessica, che faceva gesti con l'unico braccio sano. "Se l'è cavata - ha detto l'ufficiale di polizia - perché è in ottima forma fisica: si stava allenando per correre una maratona".
Jessica ha già messo l'incidente alle spalle. "Sono dispiaciuta, ero venuta in Germania per imparare il tedesco, ma ora ho voglia solo di tornare a Colorado Springs, a casa dei miei genitori. Non ho ancora rinunciato a correre la maratona, spero di guarire in tempo".

Articolo tratto da Gazzetta.it

18 giugno 2008

Ciao, ciao Francia!


Italia, la nottata perfetta. Ora i quarti con la Spagna



Gli azzurri superano 2-0 la Francia con Pirlo e De Rossi: domenica supersfida contro le Furie Rosse. Qualificazione possibile grazie all'Olanda che fa il suo dovere: 2-0 alla Romania.

Immagine tratta da Gazzetta.it

13 giugno 2008

Formazione anti - Romania

Archeologia cristiana


In Giordania la chiesa cristiana più antica del mondo


Una grotta, dimenticata sotto la più nota San Giorgio a Rihab, nel nord della Giordania. Sarebbe questa la più antica chiesa cristiana del mondo. La scoperta, resa nota dal Jordan Times, è di un gruppo di archeologi, che fanno risalire la costruzione a una data collocabile tra il 33 e il 70 d. C. "Crediamo si tratti della prima chiesa di tutta la cristianità", dichiara Abdul Qader al-Husan, capo del Jordan's Rihab Centre for Archaeological Studies. "Ci sono prove che abbia ospitato i primi cristiani, i 70 discepoli di Gesù, che fuggiti dalla persecuzione di Gerusalemme avrebbero riparato nella Giordania settentrionale, ai confini con la Siria", aggiunge l'archeologo. All'interno della cava sono presenti alcuni sedili di pietra, probabilmente destinati al clero, e un'area circolare che fa pensare all'abside. Un profondo tunnel, invece, conduceva ad una fonte d'acqua. Il vescovo ausiliare dell'arcidiocesi greco-melkita, Nektarious, definisce la scoperta "un'importante pietra miliare per i cristiani di tutto il mondo".

Articolo tratto da Repubblica.it

11 giugno 2008

Scempi paesaggistici

Antenne telefoniche selvagge, cartelloni pubblicitari che ostruiscono la vista di un paesaggio, scritte sui muri, costruzioni abusive. Il Fai (Fondo per l'ambiente italiano) e Intesa San Paolo lanciano la quarta edizione de "I luoghi del cuore". Non monumenti famosi o opere d'arte, ma i luoghi che più ci stanno a cuore, e sono deturpati da piccoli grandi brutture che ne offuscano la bellezza, sono al centro della campagna. Lo slogan è "Segnala ciò che rovina", Fai e Intesa San Paolo lo segnaleranno alle amministrazioni comunali perché prendano provvedimenti. «Scheletri di cemento abbandonati, selve di cartelli e gazebi improvvisati nei centri storici, manifesti che deturpano il paesaggio, parcheggi abusivi, scritte su monumenti artistici, boschi di parabole e antenne televisive: sono solo alcuni esempi di come uno sviluppo non pensato e progettato con coerenza danneggi continuamente i luoghi in cui viviamo. E noi – scrive il Fai nel comunicato che presenta l'iniziativa - finiamo per diventare due volte vittime: non solo perché il paesaggio che abbiamo negli occhi e nel cuore è pieno di queste ferite, ma anche perché talvolta finiamo addirittura per non accorgercene nemmeno più».
Sono già in molti i personaggi del mondo della cultura, delle istituzioni e dello spettacolo ad aver aderito alla campagna, che hanno scelto di partecipare. Primo fra tutti il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania Guido Bertolaso. Ed è proprio la spazzatura di Napoli ciò che deturpa il "luogo del cuore" dell'ex capo della Protezione civile. «Ferisce la dignità dei cittadini campani e di quanti chiedono a questa regione di svelare i suoi immensi tesori, ora nascosti e resi irraggiungibili dall'accumularsi dei rifiuti». Ma non solo. C'è Beppe Grillo che, con il suo consueto stile, chiede che sia rimossa la centrale a carbone sotto la Lanterna, simbolo della sua Genova. E poi Lucio Dalla che non sopporta parabole e condizionatori nei centri storici delle città; il dj Linus che chiede di togliere le vecchie cabine, inutilizzate da anni, dal lungomare di Riccione e Lella Costa che vorrebbe che il Castello Sforzesco di Milano non fosse «illuminato come un lunapark».
Partecipare al censimento del Fai è molto semplice. Le segnalazioni si possono fare online sul sito www.iluoghidelcuore.it. Oppure spedendo volantini e coupon pubblicati su giornali e riviste o compilando le cartoline che è possibile trovare nelle sedi del Fai, in tutte le filiali Intesa San Paolo, nelle librerie Feltrinelli e Ricordi Mediastores. L'edizione 2008 de "I luoghi del cuore" prevede anche la collaborazione con le scuole primarie e secondarie. A loro è rivolto il concorso "Mi prendo a cuore". L'idea è semplice: trovare un luogo vicino alla scuola da rivalorizzare preparando un piano di interventi da realizzare. E poi inviare le foto del luogo, prima e dopo la cura. Le migliori saranno pubblicate sul sito faiscuola.it.

Articolo tratto da IlSole24Ore.com

"Urbanizzazione"


Vulcani pronti ad esplodere

In Africa, ogni anno, oltre 5 milioni di persone cercano un nuovo alloggio nelle periferie delle città. Spesso la popolazione delle baraccopoli è sottostimata. Privi di titoli di proprietà legali, gli abitanti sono costretti a una dipendenza quasi feudale dai politici e burocrati locali.

In Africa la popolazione delle grandi città è aumentata di 10-12 volte tra il 1960 e il 2005. Questo incremento non è stato associato a uno sviluppo eco­nomico correlato. Anzi: il prodotto in­terno lordo (Pil) si è ridotto dello 0,66% l'anno. Nondimeno, le città in Africa gio­cano un ruolo cruciale nella crescita delle economie nazionali. Oggi, in generale, il tasso annuo me­dio di crescita della popolazione africana s'aggira attorno al 4%, mentre quello del­le grandi città raggiunge l'8%, e non sono casi eccezionali quelli di città che crescono del 10% o più, specialmente in regio­ni in cui l'esodo rurale si accentua a causa di calamità naturali o fenomeni legati allo sviluppo disuguale del territorio.
Il tasso di crescita degli insediamenti urbani precari e marginali, inoltre, a vol­te è superiore al 25% annuo. Ogni anno, oltre 5 milioni di africani cercano una nuova sistemazione nelle periferie delle città. La grande maggioranza della nuo­va popolazione urbana sembra destina­ta a sopravvivere nella totale incertezza, nella precarietà, nella ricerca (priva di opportunità reali) di un miglioramento delle proprie condizioni di vita, ai mar­gini del "grande miraggio" rappresentato dalla città moderna.
Scriveva Peter C. W Gutkind, autorità mondiale nel campo dell'antropologia urbana, scomparso nel 2001: «Le città dell'Africa sono, per la maggior parte, nuove. La loro nascita è frutto della colonizzazione che ha model­lato la struttura urbana su modelli non africani, che favorivano un modo di vita completamente differente ed estraneo alla realtà locale». Il resto lo hanno fatto l'in­curia verso le zone rurali (mancanza di investimenti e di sostegno all'economia familiare e di politiche mirate alla prote­zione dei suoli) e l'assenza d'investimenti nell'edilizia popolare nelle città.
Il primo fattore, ovvero la mancanza di progetti tesi a proteggere le aree rurali, causa la fuga dai villaggi e determina la scelta di cercare altrove un luogo dove soddisfare i bisogni che la vita nei villag­gi non è in grado di soddisfare. Questa ricerca si concentra nella sola alternativa possibile: la città. Così, la presenza di un sistema urbano inarticolato implica e fa­vorisce la concentrazione di popolazione in pochissimi centri (uno o due), che de­vono accogliere flussi rilevanti di gente.

Crescita senza città

È una "crescita urbana senza città" che dà origine ai famigerati slum: spazi auto­costruiti su terreni demaniali, senza che vi sia un solo mattone, dove non è passata una sola putrella di ferro e non vi si tro­va un solo metro quadrato di vetro. «Nei paesi in via di sviluppo», ci ricorda il pro­fessor Claudio Stroppa, «la dissoluzione della struttura agraria acuisce l'esodo dei contadini senza terra; la bidonville li ac­coglie e svolge un ruolo di mediazione tra città e campagna. La bidonville molto spesso si consolida e offre ai suoi abitanti un "surrogato" di vita urbana, se si vuole miserabile, ma molto intensa».
Gli effetti di queste contraddizioni so­no evidenti nell'espansione delle città. Si tratta di spazi complessi, in cui sono pre­senti molti dei contrasti che caratterizza­no la vita del pianeta. Si tratta di città di­vise da numerosi confini, il cui semplice attraversamento produce il senso di pas­saggio da una frontiera all'altra. Ma sono frontiere non semplicemente fisiche: per entrare negli slum si passa dalla "frontie­ra della paura", mentre per accedere ai quartieri ricchi si attraversa il "confine del benessere".
Le città così frammentate, invece di essere il luogo dell'incontro e dell'inte­grazione tra gruppi sociali diversi per li­vello economico, cultura e provenienza, si trasformano in una sorta di arcipelago costituito da molte isole (island), segnate dalla qualità delle loro costruzioni, dalla presenza (o mancanza) di infrastrutture e servizi, dalle maggiori o minori condizio­ni di sicurezza.
Ovviamente, le isole comunicano, i loro abitanti intrecciano rapporti, e una chiave di entrata da un'isola all'altra è la convenienza economica, 'capace d'istitui­re relazioni e gradi di comunicazione. Ai ricchi serve la manodopera che costa po­co e i poveri hanno bisogno di lavorare. Nascono, così, gli scambi, i subappalti, la fornitura di servizi, il commercio negli slum di prodotti industriali. Protagonista di questo flusso è il settore informale del­l'economia, capace di generare posti di lavoro, reddito e capacità di risparmio per la maggioranza degli abitanti degli insediamenti informali.
Le island vivono fianco a fianco e, nel­la quotidianità, a volte si confondono. Ma presentano aspetti fortemente contrastan­ti: ci sono island city ("città-isola") ricche, del Primo mondo, e altre povere, del Ter­zo mondo. Da un punto di vista estetico, il moderno grattacielo e la baracca sono i simboli di città-arcipelago, come Nairobi, Johannesburg e Rio de Janeiro.
Le island city vivono su due livelli. Una parte "sta in alto", legata economicamen­te con il resto del mondo, perché la tec­nologia che sostiene la rete globale per­mette di lavorare e comunicare via etere. Questa parte dell'arcipelago sta al di so­pra dell'altra e, spesso, comunica di più in senso orizzontale (con le lontane città di pari grado) che non verticalmente (con il resto della città stessa). La parte povera dell'arcipelago, invece, è fortemente at­taccata alla terra, perché lotta ogni giorno per appartenere a quella terra, sia occu­pando le strade con i lavori informali, sia costruendo la propria casa, generalmente piccola, almeno all'inizio, per poter esse­re edificata nel minor tempo possibile.
Nell'Africa subsahariana, in Ameri­ca Latina, in Medio Oriente e in alcune regioni dell'Asia, l'urbanizzazione senza crescita è anche il risultato di una con­giuntura mondiale specifica - la crisi del debito della fine degli anni Settanta e la ristrutturazione delle economie in via di sviluppo sotto l'egida del Fondo moneta­rio internazionale (Fmi) negli anni Ottan­ta - più che l'esito di non si sa quale legge coercitiva del progresso tecnologico.
L'esplosione delle bidonville è stata analizzata dal rapporto del 2003 delle Nazioni Unite, The Challenge of Slums ("La sfida delle baraccopoli"). Il testo, primo vero studio su scala mondiale sulla povertà urbana, comprende intelligente­mente diverse inchieste locali, da Abidjan a Sydney, e statistiche globali che inclu­dono, per la prima volta, la Cina e i paesi dell'ex blocco sovietico. Il rapporto lancia un avvertimento sulla minaccia planetaria della povertà urbana. Gli autori definisco­no le bidonville come spazi caratterizzati da: sovrappopolamento, abitato precario o informale, ridotto accesso all'acqua cor­rente e ai servizi igienici, vaga definizione dei diritti di proprietà.
Si tratta di una definizione pluridi­mensionale e, in parte, restrittiva, sulla base della quale si stima, comunque, che la popolazione delle baraccopoli ammon­tava nel 2001 ad almeno 921 milioni di persone. Oggi gli abitanti di questi agglo­merati rappresentano il 78,2% della po­polazione urbana dei paesi meno svilup­pati e un sesto dei cittadini del pianeta. Se si considera la struttura demografica della maggior parte delle città del Terzo mondo, almeno metà di questa popola­zione ha un'età inferiore ai vent'anni.
Il tasso più alto di abitanti di barac­copoli è registrato in Etiopia e in Ciad (99,4% della popolazione urbana).
Se­guono Afghanistan (98,5%) e Nepal (92%). Tuttavia, le popolazioni urbane più nella miseria sono certamente quelle di Maputo (Mozambico) e Kinshasa (Rd Congo), dove il reddito di due terzi degli abitanti è inferiore al minimo vitale gior­naliero. A New Delhi, gli urbanisti deplo­rano l'esistenza di «baraccopoli all'inter­no di baraccopoli»: negli spazi periferici, alla storica classe povera della città espul­sa alla metà degli anni Settanta si aggiun­gono nuovi arrivi, che colonizzano gli ultimi interstizi liberi. Al Cairo (Egitto), i nuovi arrivati occupano e affittano parti di abitazioni sui tetti, generando nuove bidonville "sospese in aria".
La popolazione delle baraccopoli è spesso sottostimata, talvolta in grandi proporzioni. Alla fine degli anni Ottanta, per esempio, Bangkok (Thailandia) ave­va un tasso "ufficiale" di povertà solo del 5%, mentre alcuni studi dimostravano che un quarto della popolazione (1,16 milioni di persone) viveva nelle bidonvil­le e in abitazioni di fortuna.
Esistono oltre 250mila baraccopoli nel mondo. Le cinque grandi metropo­li dell'Asia del sud (Karachi, Bombay, Delhi, Calcutta e Dacca) ospitano quasi 15mila zone urbane tipo bidonville, per una popolazione totale di oltre 20 milioni di persone. Gli abitanti delle baraccopoli sono ancora più numerosi nella costa del­l'Africa Occidentale, mentre immense co­nurbazioni di povertà si estendono verso l'Anatolia e gli altopiani dell'Etiopia, coinvolgono le zone ai piedi delle Ande e dell'Himalaya, proliferano all'ombra dei grattacieli di Città del Messico, Johanne­sburg (Sudafrica), Manila (Filippine), Sào Paulo (Brasile) e colonizzano lè rive del Rio delle Amazzoni, del Congo, del Ni-ger, del Nilo, del Tigri, del Gange, dell'Ir-rawaddy e del Mekong.
I nomi del "pianeta-bidonville" sono tutti intercambiabili e, allo stesso tempo, unici nel loro genere: bustees a Calcutta, chawl e zopadpatti a Bombay, katchi abadi a Karachi, kampung a Giacarta, iskwater a Manila, shammasa a Khartoum, umjondo-lo a Durban, intra-muros a Rabat, bidon­ville a Abidjan, baladi al Cairo, gecekondou ad Ankara, conventillos a Quito, favelas in Brasile, villas miseria a Buenos Aires e co­lonias populares a Città del Messico.
Un recente studio, pubblicato dal­la Harvard Law Review, stima che l'85% degli abitanti delle città del Terzo mondo non possiede alcun titolo di proprietà le­gale. È all'opera una contraddizione stri­dente, perché il terreno dove crescono gli slum è di proprietà dei governi, mentre le case costruite sono di proprietà di pochi che impongono affitti salati ai poveri ur­bani, i quali non possiedono neppure la baracca in cui vivono.

Forme di insediamento

I modi di insediamento delle baracco­poli sono molto variabili: dalle invasioni collettive disciplinate di Città del Messico e Lima fino ai complessi (spesso illegali) sistemi di affitto di terreni alla periferia di Pechino, Karachi e Nairobi. In alcune cit­tà, per esempio Nairobi, lo stato è formal­mente proprietario della periferia urbana, ma la speculazione fondiaria permette al settore privato di realizzare enormi pro­fitti a spese dei più poveri. Gli apparati politici, nazionali e regionali, contribui­scono a questo mercato informale (e alla speculazione fondiaria illegale) e riescono addirittura a controllare i vassallaggi poli­tici degli abitanti e sfruttare un flusso re­golare di affitti e mazzette. Privi di titoli di proprietà legali, gli abitanti delle baracco­poli sono costretti a una dipendenza qua­si feudale dai politici e burocrati locali. Il minimo strappo alla legalità clientelare si traduce con l'espulsione.
L'offerta d'infrastrutture, al contrario, è lontana dai ritmi di urbanizzazione, e le baraccopoli spesso non hanno alcun accesso all'igiene e ai servizi del settore pubblico. Eppure, nonostante siano luo­ghi che si definiscono in termini di assen­za - ciò che non hanno dice ciò che sono -, gli slum raggiungeranno i 2 miliardi di abitanti nel 2030, perché rappresentano l'unica soluzione abitativa per l'umanità in eccesso del 21° secolo.
Le baraccopoli potrebbero trasfor­marsi in vulcani pronti a esplodere? E gli abitanti trasformarsi in soggetto politico capace di "fare storia"? Molto dipenderà dalla capacità di sviluppare una cultura di organizzazione collettiva, anche se, come spiegava Kapushinski, «i poveri, di solito, stanno zitti. La miseria non piange, non ha voce. La miseria soffre, ma soffre in si­lenzio. La miseria non si ribella. Infatti, i poveri insorgono solo quando pensano di poter cambiare qualcosa».
Sapremo essere parte di questo cam­biamento?

Articolo tratto da Korogocho.org