23 maggio 2008

Ritorno al nucleare?


Nucleare, Scajola: centrali entro cinque anni


«Onoreremo con convinzione e determinazione l'impegno assunto dal premier Silvio Berlusconi: entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione di una centrale nucleare di nuova generazione». Il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola all’assemblea di Confindustria coglie l’invito della neopresidente Emma Marcegaglia e rilancia l’energia nucleare. È stata proprio la Marcegaglia nella sua introduzione a ritenere necessario un ritorno al nucleare: «La questione dell’energia è molto sentita dalle imprese. Un passo verso il nucleare sarebbe una spinta per la produttività». Entusiasmo delle multinazionali dell’energia. «È particolarmente condivisibile l'apertura del nuovo governo al nucleare e, più in generale, alla diversificazione del mix energetico» dice l'amministratore delegato di Edison, Umberto Quadrino. «La nostra società è pronta a fare la sua parte e lavorare con il governo alla realizzazione del piano». Soddisfatti anche i dirigenti dell'Enel. Ma per il ministro ombra dell'Ambiente, Ermete Realacci, «non si può tornare al nucleare perché è una scelta costosa e ideologica. È come l'articolo 18, e sappiamo com'è finita quella battaglia». Per Roberto Della Seta, senatore Pd e capogruppo in commissione ambiente, «il ritorno al nucleare in Italia è una strada vecchia, ideologica, velleitaria e impopolare.
C'è da sperare che il governo Berlusconi invece di imboccare questo tunnel senza uscita, lavori con forza per rispondere in modo moderno e innovativo ai problemi epocali posti dal caro-petrolio e dai mutamenti climatici: cioè puntando sull'efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili».
Anzichè «inseguire impr
obabili fughe all'indietro, la via maestra per «rottamare» l'oro nero è scoprire finalmente il nostro oro giallo, l'energia del sole». Rifondazione Comunista e Verdi tuonano contro il governo e annunciano proteste verso qualsiasi progetto di centrale nucleare.
Per Francesco Caruso «il governo Berlusconi nella sua tracotante foga di avvelenare tutti e arricchire pochi, promette oggi all'assemblea di Confindustria la costruzione di centrali nucleari. Gli avvoltoi delle multinazionali sbavano: l'amministratore delegato dell'Edison, Umberto Quadrino, dichiara di essere pronto a investire sul nucleare, quello dell'Enel, Fulvio Conti, anche, ma tengano ben presente che anche noi siamo pronti alla mobilitazione e alla battaglia antinucleare».
Per
Angelo Bonelli dei Verdi «il nucleare è una scelta sbagliata perchè è antieconomica, vecchia e pericolosa. L'energia atomica da fissione - prosegue - non ha risolto i gravissimi problemi delle scorie radioattive e dei costi enormi. Questi problemi hanno già portato importanti paesi europei come Svezia, Germania ed Olanda ad uscire dal nucleare e a puntare con forza su energie pulite, rinnovabili e sicure».
«Se il governo Berlusconi vorrà portare il Paese in questa follia (un incidente ad una centrale nucleare può distruggere la vita per secoli) - conclude il Verde - saremo pronti a proporre un nuovo referendum come abbiamo fatto oltre 20 anni. L'Italia deve dire sì all'idrogeno e all'energia solare che non solo sono pulite e sicure ma che rappresentano il futuro»

Articolo tratto da L'Unità.it

Ma puntare su fonti rinnovabili e sviluppare progetti davvero innovativi, a noi italiani fa proprio schifo?!!

Streghe e fantasmi...della fame


Caccia alle streghe in Kenia: 11 bruciati vivi

La folla inferocita lincia 8 donne e 3 uomini: «Sono muganga, devono morire».

Undici
persone (otto donne e tre uomini) accusate di stregoneria sono state bruciate vive a Nyakeo, 300 chilometri a ovest di Nairobi in Kenia. La notizia è stata confermata al Corriere dalla polizia, che però non ha voluto aggiungere nessun dettaglio tranne: «Erano accusate di essere muganga», una parola che in swahili vuol dire «stregone ». Secondo altre fonti, qualcosa di poco chiaro è successo nei dintorni del villaggio (forse due bambini sono morti) e la collera della popolazione è montata. Qualcuno ha indicato alcune donne come colpevoli di un malefizio e così è partita la spedizione punitiva. Gruppi di uomini, armati di bastoni, sono andati casa per casa alla ricerca dei presunti stregoni.
Una volta scovati, sono stati picchiati dalla folla esaltata ed eccitata e, dopo essere state cosparsi di benzina, accesi come fiammiferi. In tutta l'Africa centrale la magia nera è una pratica comune.
Rivolgersi allo stregone quando si è malati, no
n per avere medicine adeguate, ancorché tradizionali, ma per «togliere dal corpo il maligno che ha causato l'infermità», è considerata una prassi normale, specie nelle zone rurali.
Gli stregoni in cambio della speranza ricevono i mezzi di sostentamento, cibo e denaro. Naturalmente la magia può essere usata per malefici e fatture. E così ogni tanto le cose per il «muganga» si mettono male. In caso di calamità, catastrofi o lutti occorre trovare un colpevole e lo stregone del villaggio viene accusato di essere la causa di tutti i mali. I «muganga» sono comuni nelle comunità cristiane e animiste, ma anche fra gli islamici. Nei Paesi di cultura musulmana subsahariani vengono chiamati «marabù».
In Kenia la stregoneria è talmente diffusa che nel 1992 l'ex parlamentare, ex ministro delle amministrazioni locali e ora consigliere speciale del presidente Mw
ai Kibaki, Musikari Kombo (l'uomo che assieme al ministero dell'ambiente italiano doveva chiudere la discarica più penosa e disumana del Paese, Dandora) fu dichiarato colpevole di praticarla contro i candidati rivali. Fu squalificato per cinque anni e allontanato così dal processo elettorale. In Liberia si diceva che il vecchio presidente Charles Taylor, gran pontefice di una setta esoterica, amasse mangiare il fegato crudo dei nemici uccisi. Lui non smentiva perché i suoi «sudditi» erano terrorizzati da queste pratiche. In Kenia la legge bandisce la stregoneria come reato penale e se si è condannati si rischia una multa di 5 euro o sei mesi di prigione.

Articolo tratto da Corriere.it





Allarme-cibo. Fao e Ocse: prezzi alti per 10 anni
I prezzi internazionali dei prodotti alimentari non torneranno ai livelli precedenti all'attuale crisi per almeno dieci anni. Lo afferma un rapporto congiunto dell'Ocse e della Fao.


Nel 2017,
prevede il rapporto, l'olio di semi costerà (dato depurato dell'inflazione generale) il 33% in più rispetto alla media del periodo 2005-2007, il mais il 15% in più, il frumento il 2% e il riso l'1% in più. «È probabile - afferma il testo - che tutti i prezzi medi reali, senza eccezione, rimarranno al di sopra di quelli osservati tra il 1985 e il 2007». Secondo il documento, intitolato "Agricultural Outlook 2008-2017", i prezzi offriranno tuttavia respiro nel breve periodo, con un calo già quest'anno rispetto ai record registrati nei mesi passati. «I prezzi alimentari rimarranno considerevolmente più alti in termini nominali che nel passato ma al di sotto degli attuali record», sottolinea una fonte Ocse.

Articolo tratto da IlSole24Ore.com

21 maggio 2008

Rientri


Comincia il ritorno a casa per gli sfollati della Rift Valley


Si chiama “Operazione ritorno a casa” la campagna governativa di rimpatrio degli sfollati, vittime delle violenze post-elettorali di gennaio scorso, cominciata ieri nella Rift Valley (ovest), una delle regioni più colpite. Centinaia di persone ospitate nei campi delle principali città della regione sono state trasportate in pullman fino ai loro villaggi di origine. “È tempo di dare un’opportunità alla pace, alla riconciliazione e al perdono per consentire alle persone di tornare a casa e di ricominciare” aveva detto nel fine settimana William Ruto, ministro dell’agricoltura , durante una cerimonia davanti a 15.000 sfollati radunati a Eldoret. “Il viaggio verso casa deve cominciare ma deve essere seguito da quello che abbiamo concordato, ovvero che non ci saranno più violenze. (…) I due gruppi devono convivere” ha aggiunto Ruto, riferendosi ai partigiani di etnia kikuyo del presidente Emilio Mwai Kibaki e a quelli di etnia Luo del suo rivale Raila Odinga. La prima fase dell’operazione di rimpatrio deve coinvolgere circa 8000 persone. Il governo di coalizione nazionale, insediato dopo lunghe settimane di difficili negoziati fra maggioranza e opposizione, ha promesso agli sfollati che potranno tornare nei loro villaggi , possedere una proprietà, una terra, lavorare e spostarsi in ogni regione, indifferentemente dalla loro appartenenza etnica. Le violenze post-elettorali avevano fatto emergere una profonda e antica crisi legata ad una distribuzione iniqua delle terre nel paese.

Articolo tratto da Korogocho.org

D - Rolf


Dalla Germania in Cina in Trabant

E' l'ultima impresa di Rolf Becker, tedesco che è riuscito ad andare ovunque con l'auto simbolo della Ddr.

Dalla Germania alla Cina in Trabant. E' l'ambizioso viaggio di oltre 10.000 km che il sessantunenne tedesco Rolf Becker, meglio conosciuto come D-Rolf (Becker si guadagna da vivere suonando un "Drehorgel", un organetto) intende portare a termine con l'auto con motore da 26 cavalli, simbolo dell'ex Ddr, in vista delle prossime Olimpiadi che si terranno a Pechino il prossimo agosto. Partito giovedì scorso da Magdeburgo, capitale della Sassonia, Becker raggiungerà Rostock, nel nord della Germania. Qui prenderà un traghetto che lo porterà in Lettonia e dopo aver attraversato Estonia, Russia e Mongolia l'eccentrico tedesco raggiungerà l'ex "Celeste Impero".
Se i suoi calcoli saranno giusti e se tutto andrà bene Becker ha programma di arrivare entro la terza settimana di luglio a Pechino, quindici giorni prima dell'inizio dei Giochi Olimpici che partiranno il prossimo 8 agosto. Il lungo itinerario di Becker potrà essere seguito giorno dopo giorno sul suo sito web : il viaggiatore tedesco ha promesso che, durante le Olimpiadi, farà autografare il cofano della sua Trabant dai più grandi campioni internazionali dello sport, vendendolo poi al migliore offerente e destinerà il ricavato ad un'associazione di beneficenza.
Becker non è nuovo a questa imprese. Se riuscirà ad assistere ai Giochi di Pechino, questa sarà la decima Olimpiade che segue sul posto ed è inutile sottolineare che anche in passato le mete dei giochi sono state raggiunte sempre in Trabant. In 30 anni di imprese, tra l'Occidente e l'Oriente ha guidato una trentina di queste auto simbolo della Germania Orientale. Dal 1996, quando seguì le Olimpiadi di Atlanta in Usa, non si è perso una rassegna estiva o invernale dei giochi internazionali. Prima che cadesse il Muro di Berlino (Becker è nato nell’ex Germania Orientale), non potendo viaggiare in Occidente, questo simpatico tedesco ha percorso in lungo e in largo gli ex stati del Patto di Varsavia. Ma da quando non esiste più la "cortina di Ferro" Becker ha potuto attraversare il resto del mondo, diventando tra l'altro il primo tedesco dell'Est a fare il "coast to coast" degli Stati Uniti d’America. Sempre e solamente in Trabant. Tra le altre sue celebri imprese del passato, oltre ai già citati viaggi verso le città Olimpiche, bisogna ricordare il rally alla Parigi Dakar e la strepitosa spedizione da Il Cairo a Città del Capo.
Intervistato dal settimanale tedesco "Der Spiegel" Becker sostiene di non temere affatto le scarse prestazioni e l'affidabilità della sua auto, ma l'unico vero problema sono le burocrazie dei paesi che dovrà attraversare e che potrebbero rallentare la sua corsa. «Come dico sempre alle persone, l'auto non mi preoccupa» spiega con orgoglio Becker al settimanale tedesco. «D’altronde è sempre una macchina tedesca». L’estroso sessantunenne non viaggerà da solo: un gruppo di amici alla guida di altre due Trabant dovrebbero accompagnarlo in questa nuova impresa. «Vedremo quante auto riusciranno a terminare l'itinerario» commenta l'ex cittadino della Germania orientale. A chi gli fa notare che forse questa volta si tratta di un impresa troppo audace, egli taglia corto: «Ho sempre portato a termine i miei viaggi» e ricorda quando, durante un viaggio in Africa, attraversando la Somalia si trovò in una zona controllata dalle truppe ribelli che cominciarono a sparare colpi di arma da fuoco contro la sua Trabant: «Dopo mi accorsi che la Trabi era stata colpita da un proiettile» continua Becker. «Fortunatamente quella volta Allah ci protesse».

Articolo tratto da Corriere.it

15 maggio 2008

Quando gli estremi si toccano...


Stalinismo e nazismo: così lontani, così vicini

A Napoli una mostra sui manifesti lo spiega Il lavoro di Gian Marco Montesano si concentra sulle similitudini che accomunavano la strategia comunicativa delle due dittatura.

La spinosa questione del revisionismo storico in una mostra dall’inequivocabile titolo: «La canzone del male».
L’artista torinese Gian Marco Montesano sarà protagonista di una pers
onale, allestita nello spazio napoletano della «Galleria Umberto Di Marino Arte Contemporanea», in via Alabardieri, dal 15 maggio al 15 settembre, in cui la propaganda hitleriana e stalinista rivivrà in dodici coppie di tavole che riproducono, affiancandoli in uno stretto confronto, altrettante fedeli riproduzioni di manifesti provenienti dalla Germania e dalla Russia tra gli anni ’30 e ’40.
L’artista
ha voluto così approfondire, attraverso l’iconografia dell’epoca, l’influenza che i due regimi esercitarono sull’intera società. Ciò che risulta più interessante è, però, l’inedita prospettiva che emerge dal lavoro di Montesano, che si concentra sulle similitudini che accomunavano la strategia comunicativa, funzionale all’esercizio del potere, di Comunismo e Nazismo, uniti del resto da numerose somiglianze strutturali e politiche.
Il sottotitolo della mostra, «Historikerstreit», propriamente «litigio tra storici», rimanda inoltre al dibattito che coinvolse in Germania proprio i
fautori della corrente storica revisionista.
Un
affascinante viaggio nella storia europea quindi, con un occhio a tutti gli aspetti della vita civile dell’epoca, come emerge dai manifesti posti dall’artista uno accanto all’altro, mettendo allo specchio i simboli principali delle due ideologie, che spaziano dall’esaltazione dei valori sportivi e del lavoro, alla sublimazione del sacrificio per la patria, dalla necessità della guerra all’importanza del progresso tecnologico.
Una
mostra quindi di grande attualità, in questi anni in cui interrogarsi sul passato, e di conseguenza sulla nostra identità culturale, è la condizione necessaria per costruire solidi basi per il futuro europeo.

Articolo tratto da Corriere.it

Che disastro!


Cina, nella città dell'epicentro quasi 8.000 morti su 10.000 abitanti

Drammatico bilancio a Yingxiu. Centomila soldati inviati nella zona per i soccorsi

Una città distrutta. E una popolazione praticamente annientata. Per comprendere le dimensioni della catastrofe provocata nel sud-ovest della Cina dal terremoto di due giorni fa (guarda la mappa) basta citare il bilancio delle vittime a Yingxiu, cittadina della contea di Wenchuan situata a ridosso dell'epicentro, nella provincia del Sichuan: qui, su diecimila abitanti, ne sono rimasti in vita appena 2.300; i morti ammontano infatti a 7.700 e, tra i superstiti, oltre mille lamentano gravi lesioni. A riferire il dato è He Biao, sottosegretario generale dell'amministrazione della preferettura di Aba, nel cui territorio è compresa la contea maggiormente devastata. «La situazione a Yingxiu è disperata», ha dichiarato He, citato dall'agenzia di stampa 'Xinhua'.
Si ignora invece il numero delle vittime in una località vicina, Shuimo, dove vivevano circa 20.000 persone: le onde sismiche hanno infatti reso completamente inagibili ponti e strade, e le squadre di soccorso non sono ancora riuscite a raggiungerla; la popolazione resta dunque priva di assistenza, senza rifornimenti di viveri, acqua potabile né farmaci.
Il governo cinese ha inviato centomila tra soldati, agenti della polizia militare e delle forze dell'ordine civili per contribuire alle operazioni di soccorso nelle zone investite dal terremoto di due giorni fa, nel sud-ovest del Paese: lo ha annunciato il primo ministro Wen Jiabao con un discorso rivolto ai superstiti del cataclisma nella contea di Bechan, una delle aree maggiormente colpite nella provincia del Sichuan, e trasmesso in diretta dalla televisione nazionale. Frattanto un primo scaglione delle unità di elite aviotrasportate ha raggiunto un'altra contea tra le più devastate e tuttora isolata, quella di Maoxian, che si estende poco a nord del sito ove è stato localizzato l'epicentro del sisma: lo ha riferito l'agenzia di stampa 'Xinhua', secondo cui tratta di un centinaio di paracadutisti, che saranno impegnati in compiti logistici.
Frattanto il bilancio ufficiale complessivo del cataclisma ha ormai superato le tredicimila unità, ma è dato per scontato che il computo dei morti sia destinato a peggiorare ulteriormente: basti pensare che, sempre nel Sichuan, ci sono almeno diciannovemila persone sepolte sotto alle macerie soltanto nella zona circostante la città di Mianyang.

Articolo tratto da Corriere.it

12 maggio 2008

Miglioramenti


Dalla lettera inviata da Don Gabriele dell'Associazione Saint Martin.


"...I giornali non parlano più delle vittime della violenza e così è facile convincersi che non ce ne siano, invece un prezzo molto alto continua ad essere pagato dalle persone più deboli. Brian è uno di loro, vittima della disperazione della sua mamma. Entrambi sono sieropositivi. Fuggiti assieme dai luoghi degli scontri tribali, sono arrivati a Nyahururu. Qui la sua mamma non ha trovato le medicine di cui aveva bisogno, peggiorando a tal punto da renderla incapace di procurare da mangiare per il suo bambino. Allora ha deciso di abbandonare Brian in ospedale ed è fuggita, ma è stata rintracciata e picchiata per quello che ha fatto. Le è stato riconsegnato suo figlio, intimandole di non farsi più vedere. Disperata, ha abbandonato il suo bambino nella piccola stanza che aveva preso in affitto. I vicini hanno sentito il bambino piangere a lungo; il giorno seguente un silenzio preoccupante e nessuno che andava e veniva dalla stanza. Il terzo giorno sono venuti ad informarci. Assieme alla polizia, abbiamo sfondato la porta. Brian sedeva per terra, consumato dall’angoscia e sfinito dalla fame. L’abbiamo accolto al Talitha-Kum, con grande festa degli altri bambini. Adesso Brian ha ritrovato il sorriso, grazie al clima di fiducia e di pace attorno a lui. La gente del Kenya non ha ritrovato la fiducia e la pace come Brian, ma voglio darvi una buona notizia: non si vive più nella paura. Certamente non mancano motivi di preoccupazione per un governo di coalizione che vive nel sospetto reciproco e per i rifugiati che stanno affrontando il dramma di una vita precaria, tuttavia non si vive nella paura. Non c’è più l’incertezza del futuro, l’angoscia che gli eventi possano scivolare in un genocidio, il timore di parlare di quello che è successo. La gente dorme la notte e le minaccie di vendetta si sono allontanate. Non viviamo più nella paura, ma l’ingiustizia e la violenza hanno lasciato ferite profonde e ci vorranno lunghi anni per guarirle. Lo sanno bene i nostri operatori che lavorano con i rifugiati e si dedicano all’ascolto delle tante donne che sono state violentate e di coloro che hanno perso i loro cari durante gli scontri. Hanno bisogno di cibo, ma più forte è la fame di rispetto e dignità. Hanno la necessità di un alloggio, ma più ancora cercano accoglienza. Chiedono medicine, ma più profondo è il bisogno di guarire il cuore..."

I "ricchi scemi"?!


Dall’Africa accuse alla Fao: va abolita

Il presidente senegalese Wade: «La crisi alimentare è colpa sua».

A meno di un mese dalla sua conferenza sulla «Sicurezza alimentare» che porterà a Roma una trentina tra capi di Stato e di governo da varie parti del mondo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e agricoltura si è trovata attaccata alle spalle: dal presidente di un Paese dell’Africa, il continente più interessato all’azione internazionale contro fame e miseria. «È uno spreco di danaro e va abolita», ha detto della Fao il senegalese Abdoulaya Wade, capo sia dello Stato sia del governo in una Repubblica presidenziale, leader a Dakar del Partito democratico che aderisce all’Internazionale liberale. E, dettaglio non secondario, connazionale di Jacques Diouf, il senegalese che dal 1994 guida la Fao con la carica di direttore generale. In passato, Wade aveva sostenuto che la sede centrale dell’organizzazione andava trasferita da Roma alla capitale di una nazione africana. «Ma questa volta mi spingo oltre: voglio che sia abolita», ha dichiarato senza mezzi termini l’altro ieri il presidente alla radio e alla televisione del suo Paese. Dal 3 al 5 giugno prossimi, la conferenza internazionale in Italia su sicurezza alimentare, cambiamenti climatici e bioenergia avrebbe dovuto offrire a Diouf una cornice solenne e pacata dalla quale chiedere al mondo ricco ulteriori fondi per gli aiuti. Il segretario generale, di certo, sperava di poter esporre in un clima privo di rumorose interferenze la sua tesi secondo la quale gli aumenti generalizzati dei prezzi dei cereali—dovuti all’impennata del petrolio, alla crescita della domanda di cibo in Cina e India, alla speculazione, alle coltivazioni per biocarburanti e ad altri fattori— vanno colti come opportunità per rilanciare l’agricoltura. Wade non gli ha dato una mano. La Fao, secondo il presidente del Senegal, è un doppione di altre diramazioni del Palazzo di Vetro e dovrebbe trasmettere i suoi «utili» al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, l’Ifad, un’istituzione finanziaria dell’Onu con quartier generale a Roma da spostare in Africa. A giudizio di Wade, i finanziamenti della Fao spesso finiscono a «organizzazioni non governative ingorde e divoratrici di aiuti... le quali li useranno in ogni genere di trucco, amministrazione, viaggi, hotel di lusso». E «l’attuale situazione è in gran parte un suo fallimento ». In Senegal, uno degli Stati africani che più assorbe aiuti internazionali, nei mesi scorsi l’aumento del prezzo dei cereali ha già prodotto rivolte. Wade, tuttavia, ha ritenuto di dover affermare che «in Senegal non c’è fame e non ce ne sarà». Allora per capire meglio il senso dell’attacco alla Fao vanno tenuti presenti anche altri elementi. Le stime del Programma alimentare mondiale portano a ritenere che nel Paese diWade le scorte alimentari non siano al livello delle necessità. Uno Stato non può ottenere aiuti internazionali se non lancia un appello urgente. Il governo di Dakar non lo ha lanciato. La Fao, che di sicuro ha inefficienze e sprechi, può diventare però un bersaglio esterno, utile, verso il quale indirizzare malumori e rabbia destinati altrimenti contro il governo. Anche a Dakar, in più, esiste una politica interna fatta di cariche e poltrone. Il direttore generale della Fao Diouf non ha proclamato ambizioni presidenziali, comunque potrebbe avere i titoli per puntare, un domani, alla posizione di capo dello Stato. Il Diouf che Wade ha avuto come predecessore prima di vincere le elezioni è soltanto un omonimo. Ma non si sa mai.


Articolo tratto da Corriere.it

Guai addormentarsi


Soldati cinesi, gli aghi nel colletto

Foto choc pubblicate dal Daily Mail: ecco come il regime fa stare sull'attenti i militari.

Durante le Olimpiadi di Pechino saranno 94mila gli agenti impiegati a garantire la sicurezza, con le divise che «schiacceranno» in quantità il numero di atleti presenti, 10.500, per una proporzione di quasi nove ad uno. Da giornali e tv siamo abituati a vederli stare sull'attenti, impassibili, con la schiena dritta, quasi fossero robotizzati. Una serie di foto dettagliate pubblicate dal Daily Mail svela ora tuttavia il «segreto» di questi, all'apparenza, freddi militari cinesi.
Nel colletto, come rivelano alcune immagini pubblicate su diversi media, ci sono due aghi, per i quali diventa molto fastidioso, se non addirittura doloroso, abbassare il capo. Un espediente che ricorda vagamente i famosi sostegni alle palpebre in Arancia Meccanica che bloccano lo sbattimento delle ciglia. La Cina nel frattempo sta mettendo a punto le esercitazioni militari anti-terrorismo in vista dei Giochi olimpici del prossimo agosto: le truppe si concentreranno anche su possibili attacchi biochimici e nucleari, oltre che su operazioni di recupero in condizioni di emergenza.

Articolo tratto da Corriere.it

06 maggio 2008

Salvate Gazza da sè stesso


Il dramma di Gascoigne: tenta ancora il suicidio

Secondo il Sun l'ex nazionale inglese è stato ricoverato in ospedale dopo aver minacciato di togliersi la vita. Gazza avrebbe chiesto un coltello al personale di un albergo londinese, per tagliarsi i polsi. È intervenuta la polizia, riuscendo a fermarlo in tempo mentre tentava di affogarsi nella vasca da bagno.

Paul Gascoigne ha cercato di suicidarsi la notte scorsa, nel centralissimo “Millenium Hotel” di Sloane Street, a Londra, dove aveva appena preso una camera da 232 sterline a notte (295 euro). Lo scrive oggi il “Sun”, sebbene la notizia del nuovo ricovero in ospedale del tormentato campione domini tutte le prime pagine dei giornali. Il tabloid è, però, l’unico a parlare esplicitamente di suicidio e a raccontare con dovizia di particolari l’ultima uscita di testa di Gazza.
Stando alla ricostruzione del “Sun”, Gascoigne avrebbe terrorizzato lo staff dell’albergo cancellando un precedente ordine per una bistecca al sangue e chiedendo, invece, che gli portassero solo un coltello, con il quale diceva di volersi tagliare i polsi. Ovviamente, gli impiegati del room service se ne sono guardati bene dall’esaudire la richiesta e hanno piuttosto chiamato la polizia, ma, alla vista degli agenti, l’ex stella del Newcastle (a cui otto mesi fa è stata diagnosticata una grave forma di depressione) avrebbe tentato di annegarsi nel bagno. Da qui, la decisione di ricoverarlo immediatamente in ospedale.
Prima di arrivare al Millenium verso l’una di pomeriggio di ieri, con addosso una giacca leopardata e un cappellaccio nero e stringendo al petto una mezza bottiglia di gin, Gascoigne aveva soggiornato al vicino “Mandarin Oriental Hotel”, dove si era distinto per la richiesta di avere della cocaina. “Era esageratamente vistoso – ha raccontato un testimone – e ubriaco in maniera paurosa. Una volta nella stanza, si è scolato tutto il gin e ha cominciato a chiamare il servizio in camera perché gli portassero dell’altro alcool, ma lo staff si è rifiutato di farlo. Ad un certo punto, ha telefonato per una bistecca, ma dopo pochi minuti ha cancellato l’ordine, dicendo che gli portassero solo il coltello da bistecca. Il cameriere gli ha risposto di no e abbiamo tutti cominciato a temere per la sua sicurezza, ma lui cercava di rassicurarci dicendo che aveva intenzione di parlare con il suo psichiatra”.
Ma la permanenza di Gazza al “Millenium Hotel” è durata giusto un’ora e mezza. “Abbiamo chiamato la polizia – ha proseguito l’uomo che lavora nell’albergo londinese – e quando i dieci agenti sono piombati nella sua stanza, l’hanno trovata completamente al buio, con mozziconi di sigaretta sparsi dappertutto e la bottiglia di gin aperta sul pavimento. Dal bagno arrivavano degli strani rumori e quando Gascoigne ci ha visto, si è messo a sbraitare: “Avevo ordinato della cocaina. Voglio della cocaina”. Allora i poliziotti sono entrati nella stanza da bagno e lo hanno trovato nudo e completamente immerso nell’acqua, che fra l’altro continuava a scendere dai rubinetti, mentre lui ripeteva che se non poteva uccidersi tagliandosi i polsi, allora si sarebbe annegato. Quindi, si è ficcato con la testa sotto l’acqua e a quel punto gli agenti sono intervenuti e lo hanno tirato fuori dalla vasca da bagno, lo hanno fatto vestire e lo hanno accompagnato alla reception. Gascoigne piangeva, era fuori di sé e continuava ad urlare che non voleva andare via con loro e che voleva parlare con il suo psichiatra. Fuori dall’hotel, si è rifiutato di salire nell’auto della polizia ed è venuto anche alle mani con gli agenti. Si è calmato solo quando loro hanno accettato di portarlo in ospedale senza manette”.
Stando a quanto confermato anche da Scotland Yard, l’ex leggenda di Tottenham, Lazio e Inghilterra sarebbe stato ricoverato al “Chelsea and Westminster Hospital” di Londra. “Un uomo ha causato alcuni problemi in un hotel ed è stato portato in ospedale per degli accertamenti – ha spiegato un portavoce della polizia – ma non è stata mossa alcuna accusa contro di lui”. Questo ennesimo scandalo è arrivato al termine di un weekend già particolarmente sopra le righe per Gascoigne, che sabato era stato messo alla porta del “Royal Garden Hotel” di Kensignton per aver ripetutamente fatto saltare l’allarme antincendio della sua stanza. Poche ore prima, invece, Gazza era stato da Cobella Akga (un parrucchiere in High Street Kensignton) per farsi tingere i capelli rosso fuoco. Ma il risultato non gli doveva essere piaciuto granché, visto che poco dopo aveva deciso di radersi completamente la testa, modello Britney Spears in piena tempesta depressiva.

Articolo tratto da Gazzetta.it

Che pena...certo che cercare di annegarsi in una vasca da bagno non è proprio così semplice!

La madre degli imbecilli è sempre incinta


Verona, presi gli ultimi due aggressori

Sono tornati dall'inghilterra e si sono costituiti. Dichiarato morto Nicola Tommasoli, il 29enne aggredito da 5 neonazisti. I genitori: sì all'espianto degli organi.

Presi anche gli ultimi due presunti componenti del gruppo che ha picchiato a morte Nicola Tommasoli la notte del primo maggio nel centro di Verona. Federico Perini, 20 anni, e Nicolò Veneri, 19, entrambi veronesi, sono tornati da Londra la notte tra lunedì e martedì per costituirsi. Bloccati dalla Digos all'aeroporto di Orio al Serio, sono stati portati nel carcere veronese di Montorio. I due hanno confessato, come avevano fatto gli altri tre componenti del gruppo neonazista. Le indagini, anche grazie alle immagini registrate da telecamere, si sono subito indirizzate verso simpatizzanti della estrema destra. L'aggressione però non avrebbe avuto motivazioni politiche: la vittima, assieme a due amici, aveva negato una sigaretta al gruppo. Il primo ad essere stato bloccato dagli investigatori era stato Raffaele Delle Donne, 19 anni, studente, poi lunedì il fermo di Guglielmo Corsi, 19 anni, metalmeccanico, e Andrea Vesentini, 20 anni, promotore finanziario. All'appello mancavano gli ultimi due, che risultavano fuggiti all'estero, prima in Austria e poi in Inghilterra. Poi anche per loro si è chiuso il cerchio.
Dunque non ce l'ha fatta Nicola Tommasoli, il giovane rimasto vittima della brutale aggressione ad opera del gruppo di cinque neonazisti. L'ospedale Borgo Trento di Verona lo ha dichiarato clinicamente morto. I genitori del ragazzo hanno deciso di donare gli organi. È passata da lesioni gravissime a omicidio l'ipotesi d'accusa nel fascicolo d'inchiesta per l'aggressione di Tommasoli. L'autopsia sul corpo di Nicola sarà disposta martedì mattina. La morte sarebbe riconducibile al vasto ematoma alla testa causato dai calci ricevuti.
Il 30 aprile scorso Raffaele Dalle Donne, in compagnia di altri due giovani, soprannominati Peri e Tarabuio (gli ultimi due fermati), è in centro per bere qualcosa in un noto caffè dove si trova gran parte della gioventù cittadina. Sono circa le 23 e ai primi tre si aggiungono anche altri due, Corsi e Vesentini, due ragazzi della provincia che frequentano anche loro la curva sud dello stadio «Bentegodi». I cinque bevono un po' e poi si spostano per le vie del centro e raggiungono un altro pub. Verso le due di notte, notano tre ragazzi che stanno fumando sulla strada. Corsi si avvicina e chiede sgarbatamente una sigaretta, la risposta è un no secco e poi partono gli insulti da parte dei cinque ultrà. I tre ragazzi che fumavano replicano alle parole e quindi si passa alle mani. Sono gli aggressori che cominciano a menare schiaffi contro gli altri tre continuando ad apostrofarli per chiedere una sigaretta: «Codino - dice uno degli aggressori rivolgendosi a un ragazzo che ha la coda di cavallo - dammi una sigaretta». Nella rissa Tommasoli cade a terra e due degli aggressori gli sferrano un calcio alla testa. Gli autori del pestaggio fuggono immediatamente, Dalle Donne, Peri e Tarabuio vanno a casa, gli altri due tornano a Illasi (Verona), il paese dove abitano. In ospedale, intanto, Nicola Tommasoli è già in fin di vita ricoverato in terapia intensiva con un edema cerebrale. Per lui non ci sarà nulla da fare.

Articolo tratto da Corriere.it

Chissà quale giustificazione sociologica cercheranno di trovare per queste teste...vuote...

05 maggio 2008

In cammino


Un Grande Pellegrinaggio per la Pace. La lunga marcia a Namugongo Shrine.


Il Kenya è una nazione che cammina. Ogni giorno, migliaia di residenti negli slum camminano dai vari slum fino al centro della città e all’area industriale di Nairobi per lavorare. In un paese in cui la maggioranza che effettua i lavori più duri è terribilmente sottopagata e i costi dei trasporti pubblici stanno peggiorando, la maggior parte dei Keniani non può permettersi il rischio di viaggiare coi mezzi pubblici per paura di non poter arrivare alla fine del mese col misero salario. Come risultato, il Kenya si è rapidamente trasformato dallo slogan del Presidente Mwai Kibaki’s di essere una nazione che lavora in quello di essere una nazione che cammina. Perché allora diamine qualunque persona che cammina dovrebbe far notizia se camminare è il principale alimento del Kenya? Un gruppo di trenta pellegrini ha la risposta.
Il 24 Maggio 2008 alle otto in punto, un gruppo di trenta Cristiani provenienti principalmente dagli slum e dalle parrocchie che sono state più duramente colpite dalle elezioni generali del 27 Dicembre 2007 in Kenya, partiranno per un pellegrinaggio a Namugongo Shrine in Uganda. Il ritorno è previsto per il 5 Giugno. Il gruppo che comprende i rappresentanti di circa diciassette Parrocchie Cattoliche di Nairobi farà la grande marcia al Namugongo Shrine in Uganda.
Il santuario è conosciuto a livello internazionale come luogo di pellegrinaggio per onorare i famosi martiri dell’Uganda. Ogni anno, centinaia di migliaia di Keniani attraversano il confine verso l’Uganda per pregare, riflettere e condividere con i loro fratelli Ugandesi l’intenzione di vivere e di continuare i sogni dei Martiri Ugandesi che furono uccisi a causa della loro fede Cristiana. Quest’anno non è un anno ordinario per il Kenya. Durante le Elezioni Generali di Dicembre, dieci milioni di Keniani si mobilitarono per esercitare il loro democratico diritto e votarono per i candidati di loro scelta, ma la registrazione dei risultati presidenziali quasi sprofondò il paese in una guerra civile.
Il presidente della Commissione Elettorale Samwel Kivuitu dichiarò Mwai Kibaki vincitore delle elezioni. I risultati furono respinti dall’ Orange Democratic Movement Party che sosteneva che il suo candidato presidenziale Raila Odinga aveva vinto le elezioni. Questo suscitò proteste in tutto il paese e la situazione peggiorò quando Samwel Kivuiti stesso ammise in un’intervista ai media che egli non sapeva chi avesse realmente vinto le elezioni. Gli scontri provocarono la morte di circa mille e cinquecento Keniani, circa 350.000 sfollati, e proprietà per miliardi di scellini Keniani andarono perdute per distruzioni e saccheggi. Emerse subito che la tragedia delle elezioni generali non era che una provocazione per approfondire rancori etnici e una rampa di lancio per richiamare e indirizzare storiche ingiustizie, specialmente quelle che riguardavano i diritti della terra.
L’odio era così grande che perfino dopo che un accordo fu firmato tra i principali partiti politici, accordo che portò alla formazione di un governo di grande coalizione, i cittadini restarono divisi. I criminali e le sette illegali presero letteralmente il potere nel paese. Poiché il Kenya si avvicinava al tracollo, The Catholic Church si è unita con altri Keniani nel guarire le ferite che affliggevano il Kenya. Da qui nasce Post Election Peace Initiative.
Perciò il pellegrinaggio passerà attraverso aree quali Limuru, Naivasha, Nakuru, Molo, Eldoret, Mount Elgon, Kisumu e Malanda che furono tra le aree più colpite. La scelta dei pellegrini è molto significativa dal momento che tutti i maggiori slum di Nairobi furono gli epicentri di questa violenza tribale politicamente istigata. Come vittime della violenza post-elettorale, i pellegrini provenienti principalmente dagli slum porteranno alle persone internamente rifugiate, durante tutto il viaggio, messaggi di amore, pace e riconciliazione. Il gruppo percorrerà almeno venti chilometri al giorno, a piedi, come viva memoria della sofferenza causata dalla mancanza di pace e di come costa caro riavere la pace dopo che l’abbiamo lasciata sfuggire di mano. Il pellegrinaggio durerà tredici giorni. Durante questi giorni i pellegrini avranno momenti di riflessione con diverse parrocchie e diocesi.
Da ogni tappa, i Cristiani di queste parrocchie e diocesi si uniranno ai pellegrini per un cammino di alcuni chilometri. Visiteranno anche parecchi Internally Displaced Persons Camps. Il Peace Pilgrimage sarà una di una serie di attività delineate dalla Kenya Catholic Episcopal Conference in unione con le varie parrocchie partecipanti dell’Archidiocesi di Nairobi. Il team dei costruttori di pace che opera sotto il nome di ‘Post Election Peace Initiative’ sotto la gestione dell’appena nominato Nyeri Archbishop Peter Kairo, ha sei commissioni che diffondono diverse iniziative. Queste commissioni sono: Youth United for Peace in Kenya, Counselling and Liturgy, Symposium, Mass Media, Channel of Peace and Truth and Justice Commission. Il pellegrinaggio è un’iniziativa di The Channel of Peace Commission presieduto da Padre Daniele Moschetti, The Priest-In-Charge di St. John Catholic Church Korogocho, Kariobangi Parish e coordinatore di Kutoka Network.
Altre attività organizzate da The Channel of Peace Commission includono un Peace Football Tournament e Concerto con famosi musicisti come Erik Wainaina il 14 Giugno 2008 al Kasarani Stadium, pubblicazioni su temi quali giustizia & pace, materiale e opuscoli pubblicitari, scuola di politica ed educazione civica, costruzione di edifici di pace e sostegno per la nomina di pubblici servizi e strade con nomi di pace. Quando i pellegrini partiranno da Nairobi per Namungongo Shrine in Uganda, i Keniani devono assumersi il solenne impegno di rispettare i martiri delle agitazioni politiche Keniane non permettendo mai che una tale calamità colpisca ancora il nostro paese.
Ogni keniano è chiamato a riconciliarsi con se stesso e a vivere in pace e armonia come fratelli e sorelle. La classe politica è chiamata ad offrire una leadership prudente e a guidare i rispettivi sostenitori verso una consapevole leadership di progresso e sviluppo. Mai più i Keniani devono cadere così in basso!!

Lo Scrivente è il segretario di The Channel of Peace Commission.
Per ulteriori informazioni contattare :
Fr. Daniele Moschetti, 0733 702972
Japheth Oluoch Ogolla, 0724 26175
PILGRIMAGE ROUT






Data Tappa
24.05.08 Nairobi- Limuru - Naivasha
25.05.08 Naivasha – Nakuru
26.05.08 Nakuru-Molo - Kisumu
27.05.08 Kisumu - Eldoret
28.05.08 Sharing with people of Eldoret
29.05.08 Eldoret- Mt. Elgon
30.05.08 Mt.Elgon-Mulanda
31.05.08 Sharing with Displaced in Mulanda
01.06.08 Mulanda-Jinja
02.06.08 Jinja-Namugongo-Vigil Night
03.06.08 Uganda’s Martyrs day
04.06.08 Rest at Namugongo
05.06.08 Namugongo-Nairobi

Articolo tratto da Korogocho.org

Cura rinvigorente


India, neonati giù dalla torre

Incredibile rituale benaugurante celebrato ogni anno da musulmani e indù.

Sono scene
agghiaccianti: nel villaggio di Solapur, nello stato di Maharashtra nell'India centro-occidentale, viene celebrato ogni anno un rituale che ha dell'incredibile. I neonati vengono gettati nel vuoto da un torre alta 15 metri.
I piccoli cadono poi, sani e salvi ma assai scossi, su un telo tenuto dai devoti. I piccoli hanno tra i 9 e gli 11 mesi d'età. Secondo quanto riportano gli organi di stampa locali questo pericoloso atto di de
vozione si svolge da oltre 500 anni e ha il solo fine di donare salute al bambino. Nessuna tragedia sarebbe accaduta finora, assicurano gli abitanti. All'impressionante spettacolo assistono sia indù che mussulmani mentre le forze di polizia locali si limitano a garantire la sicurezza dell'intero svolgimento.
«Fa bene al bambino; gli dà coraggio, intelligenza e forza», riferisce una madre. «Le persone hanno timore e devozione di Dio. Questa è un'antica tradizione ed è quello che queste persone vogliono», dice Ravikiran Mehta, un esponente politico locale.

Articolo tratto da Corriere.it