Visualizzazione post con etichetta Politica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Politica. Mostra tutti i post

12 ottobre 2009

Il "re" è nudo!


Quirinale: nessun patto su Lodo Alfano
Per la bocciatura della legge sull'immunità la Consulta si sarebbe ispirata alla sentenza sul caso Previti del 2005

Nessun patto sul Lodo Alfano o sulla Consulta. Così il Quirinale risponde a ricostruzioni pubblicate sul Giornale diretto da Vittorio Feltri («parti di testo del lodo Alfano furono scritte da un consigliere giuridico di Napolitano»). «È del tutto falsa l'affermazione che al Quirinale si siano "stipulati patti" su leggi la cui iniziativa, com'è noto, spetta al governo, e tanto meno sul superamento del vaglio di costituzionalità affidato alla Consulta» si legge nella nota diffusa dalla presidenza della Repubblica.
«Una volta rilevata, da parte del presidente della Repubblica, la palese incostituzionalità dell’emendamento "blocca processi" inserito in Senato nella legge di conversione del decreto 23 maggio 2008, il Consiglio dei Ministri - si legge nel comunicato - ritenne di adottare il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica ne autorizzò la presentazione al Parlamento, e successivamente, dopo l’approvazione da parte delle Camere, promulgò la legge. Tale promulgazione, comunque motivata, non poteva in nessun modo costituire "garanzia" di giudizio favorevole della Corte in caso di ricorso». Dal Quirinale si sottolinea che «il rispetto dell’indipendenza della Corte Costituzionale e dei suoi giudici, doveroso per tutti, ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi presidente della Repubblica. La collaborazione tra gli uffici della presidenza e dei ministeri competenti - è la conclusione - è parte di una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle responsabilità».
Per quanto riguarda la sentenza sul Lodo Alfano, la Corte Costituzionale avrebbe individuato nella propria sentenza n. 451 del 2005 sul «caso Previti» una strada per stabilire un equilibrio tra le esigenze pubbliche da parte delle alte cariche dello Stato e quelle di un corretto svolgimento di un eventuale processo penale a loro carico. La notizia, trapelata in ambienti vicini alla Consulta (che affronterà l'argomento nella motivazione scritta), viene riportata dall'agenzia Ansa. In quella sentenza si stabilì che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha «l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari».
Muovendo dalla sentenza di quattro anni fa il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l'obbligo di fissare, d'intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del Consiglio, in modo da evitare coincidente e non compromettere il diritto di difesa.

Articolo tratto da Corriere.it

Tutti comunisti in Italia, per fortuna che Silvio c'è...ahahahahahahah!

08 novembre 2008

Speranze...


Un po' Clinton, un po' Reagan il nuovo stile della Casa Bianca

Afrontare subito il pubblico: lo fece soltanto il presidente Kennedy con i topolini della stampa. La battuta sul cane: sarà un incrocio come me.

Poiché la presidenza americana è stile, prima ancora che sostanza, se guidare una nazione di nazioni come questa è capacità di parlare direttamente alla gente, prima ancora di pretendere di governarla, è davvero cominciato un giorno nuovo, negli Stati Uniti.
Uno nel quale il futuro presidente sa addirittura prendere in giro sè stesso, non gli altri, e promette di regalare alle bambine un cagnolino senza pedigree, un mutt, un incrocio di razze, "come sono io", sdrammatizzando con una parola sola tutta la retorica debordante del "nero alla Casa Bianca". E ricordarci, sorridendo, che tutti, al mondo, siamo mutt, incroci di razze diverse, come lui.
Per fare quello che soltanto il suo ovvio modello, Kennedy nel 1960, fece, affrontare subito, a urne ancora calde l'esame pubblico della conferenza stampa per dirci, implicitamente e quasi subliminalmente, che lui non ha paura di quello che lo aspetta e dunque neppure noi dobbiamo avere paura, ha scelto un giorno di nuovi, e spaventosi scricchiolii dell'economia americana. 240 mila disoccupati in più, un milione e 200 mila posti di lavoro scomparsi soltanto quest'anno, la General Motors che fa sapere di avere finito i soldi.
Lo fa non perché abbia soluzioni miracolose da offrire per raddrizzare il bilancio catastrofico ereditato dal predecessore Bush, oltre l'attesa promessa di un "stimolo" di una nuova pioggia di assegni e di riduzioni fiscali per la classe media, ma per indicare da subito quale sarà il proprio stile di governo, la "trasparenza" che aveva promesso, quella voglia di "assumersi le responsabilità".
Come Reagan giocava al buon padre che rimbocca le coperte ai bambini la sera, così Barack Obama vuol dare il senso, e non ancora la sostanza, che lassù, all'ultimo piano del potere, sta entrando un giovane adulto. Non più un vecchio ragazzo.
John F. Kennedy, che adorava il rischio delle conferenze stampa e si divertiva a bluffare con i giornalisti, attese appena 48 ore, dalla vittoria strettissima dell'8 novembre al giovedì successivo, il 10, per convocare la stampa e affrontare subito il problema della Guerra Fredda. Lui ha aspettato 72 ore per mostrarci che cosa sarà "l'Obama Style", il doppio volto di un uomo capace di voli retorici quando servono per eccitare la folla, "Yes we Can!", di autoironia, per smontare il "culto" del "nero" e ricordarci che lui è, come il futuro cagnetto, tanto bianco quando nero, ma anche di gelida serietà, quando la festa finisce e arriva il conto.
Lo "stile Obama" non è quello di Kennedy, del gattone che gioca con i topolini della "press" e magari mente, come fece JFK negando di avere problemi di salute. Il "presidente eletto" come vuole il suo titolo prima del 20 gennaio, semmai ricorda quello di Franklyn Roosevelt e del suo "la sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa".
Obama è un centrista clintoniano, non quel "marxista in pectore" che la campagna avversaria aveva cercato invano di dipingere, un seguace di quel "parlare a sinistra e governare al centro" che Clinton, un altro che assaporava le conferenze stampa fino a quando fu costretto a parlare non di politica ma a mentire su "relazioni sessuali che non ho mai avuto", aveva adottato.
Governare al centro, per la classe media che è di operai come di impiegati e di "Joe l'Idraulico", è la sua proposta rivoluzionaria, dopo 8 anni di politica fiscale che aveva risucchiato la ricchezza proprio dalla classe media verso l'alto, senza ricadere. Riorientare la grande nave del governo federale verso i "paycheck" le buste paga, e non i dividendi o i bonus, è la prima cosa che ha detto ieri da "eletto", con quella serietà vellutata, ma ferrea, cordiale e distante, come vuole la "gravitas" delle istituzioni che è il suo "stile". Di uno che capito che questa terribile fine 2008 non è tempo di barzellette. Il coro muto dei clintoniani che gli facevano da sfondo, a cominciare dal suo nuovo capo di gabinetto, un altro prodotto di quella dura, cinica, realista "scuola politica di Chicago", Rahm Emanuel, era la testimonianza che il clintonismo senza Clinton è tornato alla Casa Bianca. Un Obama 1 che comincia a somigliare a un Clinton 3.
Chi ricorda le esitanti conferenze stampa di "W" Bush che le centellinava per paura, la rabbia torva di Nixon che gridava "non sono un mascalzone", sapendo di esserlo, il tedio mortifero dell'ingegnere Jimmy Carter che passava dal misticismo alla pignoleria del tecnico che spiega il funzionamento di un reattore, non può non rallegrarsi che alla Casa Bianca sia tornato qualcuno che avvicina l'abilità comunicativa di Reagan, la composta serietà di Bush il Vecchio, la capacità di sorridere, quando è giusto farlo, di Kennedy, discutendo anche del cagnetto per le bambine.
Scelta per la quale, "ho consultato ex presidenti e il presidente in carica", il cui terrier ieri ha morso la mano di un reporter, forse geloso del futuro "first dog" che lo soppianterà, del nuovo "cane supremo" e allegramente "bastardini".
Anche chi gli aveva votato contro, pensando all'arrivo di un ideologo con piani quinquennali in tasca, ha visto che alla Casa Bianca non è arrivato soltanto un uomo giovane, snello ed elegante. Ma qualcuno che invece di provare pietà per i poverelli, come proclamava Bush il "conservatore compassionevole", sa che la macchina del governo, la sola lobby dei senza lobby, deve riportarli al centro del proprio lavoro. O rischiare di distruggere il "sogno" di tutti, non soltanto quello, ora finalmente realizzato, di Martin Luther King.

Articolo tratto da Repubblica.it

09 giugno 2008

La dea bambina


Nepal, la dea bambina rischia di sparire

Durante il regno la decisione spettava al sacerdote reale. Il governo studia un modo per modificare la tradizione.

Per il capo del tempio di Taleju a Bhaktapur e per il suo aiutante la scelta della nuova Kumari non è stata facile. Decine di bambine, tra i due e i sette anni, sono state passate in rassegna.
Per essere «eleggibili» le piccole devono venire dalle famiglie newar, gli Shakya, i primi abitanti della valle del Katmandu, discendenti di Buddha, e devono possedere le «32 perfezioni».
In primis l'aspirante dea deve essere bella, gli occhi neri, le ciglia come quelle di una mucca, le cosce di daino e l'organo sessuale non sporgente.
Ma è anche importante che la bimba non abbia subito perdite di sangue e sia priva di ferite o cicatrici.
E poi deve avere un completo controllo sulle sue emozioni: durante i riti un suo lamento o anche un battito di ciglia potrebbe essere interpretato come un segno di disgrazia per il Paese.
Per questo le candidate vengono sottoposte a prove crudeli che testino il loro carattere.
La monarchia nepalese non esiste più da due settimane, dopo 238 anni di regno incontrastato.
E anche le dee bambine dalla pelle dorata, adorate dal popolo in quanto incarnazioni della dea Durga, rischiano di seguire lo stesso destino.
Perché con la scomparsa del re e l'avvento dei maoisti non c'è più nessuno che possa nominarle.
Il problema è sorto in questi giorni nell'antica città di Bhaktapur dove il posto di Kumari reale (vergine, letteralmente) è vacante dal gennaio scorso quando Sajani Shakya, al centro di una polemica per un suo viaggio negli Usa che l'avrebbe contaminata, ha deciso di ritirarsi prima dell'arrivo delle mestruazioni, momento in cui la presenza divina abbandona la piccola dea.
A prevalere su tutte è stata Shreeya Bajracharya, sei anni. Soltanto lei è riuscita a dormire una notte intera senza piangere in una stanza buia tra le teste mozzate delle capre e dei bufali sacrificati in onore della dea Kali.
E non ha avuto difficoltà a riconoscere tra mille oggetti quelli appartenenti alla precedente Kumari.
Ora, però, la nomina finale spetterebbe al sacerdote del re, una figura che non esiste più.
È lui la persona preposta a verificare che l'oroscopo dell'aspirante dea sia compatibile con quello del sovrano. La tradizione vuole infatti che le Kumari reali di Patan, Kathmandu e Bhaktapur (gli antichi tre regni della valle) siano direttamente connesse con il re.
La dea bambina di Kathmandu, la più importante, è colei che pone la tika, il sacro segno rosso, sulla fronte del monarca, legittimando così il potere reale per un anno. Sebbene profondamente ateo, il partito comunista di Prachanda cerca di correre ai ripari sapendo che è impensabile privare un Paese così profondamente religioso dei suoi riti.
Del problema è stato investito il ministero delle Riforme.
Chissà se la neonata repubblica riuscirà a coniugare tradizione e modernità.


Articolo tratto da Corriere.it

15 aprile 2008

Ultime elezioni


Queste saranno le ultime elezioni a suffragio universale!


Via al regime!


11 aprile 2008

Vota Antonio


Pd-Pdl, bufera su capitan Totti. Berlusconi: «Lo hanno strumentalizzato»

Il Cavaliere contro i manifesti pro-Rutelli del capitano della Roma. E il leader del Pd: «Clima avvelenato».

Toni sempre accesi tra Pd e Pdl nell'ultimo giorno di campagna elettorale. A tenere banco è il dibattito su Francesco Totti. Sì, perchè il capitano della Roma è stato giovedì oggetto di un attacco assai duro indirizzatogli dal candidato premier del Pdl Silvio Berlusconi. Il motivo? Al Cavaliere non è piaciuto il manifesto di capitan Totti che sostiene Francesco Rutelli nella corsa al Campidoglio. E così ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla vicenda, dopo la manifestazione di chiusura della campagna elettorale al Colosseo, il Cavaliere non esitato a rispondere che «quando uno non ci sta con la testa, non ci sta». «Se chiedessi ai giocatori del Milan» di fare campagna elettorale per il Pdl «sarebbero tanti quelli che lo farebbero visto il rapporto di fratellanza che io ho con loro. Molti sarebbero pronti a scendere in campo, tanti mi hanno chiesto di partecipare ai comizi. Io ho vietato loro di farlo» rincara la dose il giorno dopo Silvio Berlusconi ribandendo ai microfoni di Radio Radio che «i campioni dello sport» hanno il dovere di conquistare «la stima e la simpatia di tutti» e quindi non devono dividere. Per il Cavaliere la sinistra è colpevole di «stumentalizzare» personaggi famosi, Totti incluso «perché si vergogna di apparire per quello che è». «A Totti - dice ancora il leader azzurro - io mando un bacio e in bocca al lupo per la ricorsa sull'Inter. Mi spiace che sia stata esclusa dalla Champions League. Io ho fatto il tifo per la Roma e l'ho detto prima della partita. Questa non è una pezza per intervenire in questa polemica per Totti che è un bravissimo ragazzo ed è un grande campione».
E all'indomani dell'uscita di Berlusconi è il leader del Pd a prendere le difese del capitano giallorosso. Per Veltroni «c'è qualcosa di inquietante» negli insulti pronunciati dal Cavaliere agli elettori di centrosinistra e a Francesco Totti per il suo sostegno a Rutelli. Di questo il candidato del Pd parla sia a Rai News 24 sia a Radio Anch'io. «La destra italiana vive di odio, di antagonismo, di attacco personale» dice l'ex sindaco della Capitale. «Dire di un uomo con tre ergastoli che è un eroe... Adesso se la prende anche con Totti, e vuol far fare anche a lui dei test mentali. Mi domando dove voglia portare questo nostro Paese». Pure nella convizione che «le istituzioni vanno cambiate insieme» Veltroni tritiene comunque che il «clima avvelenato di questa campagna elettorale non aiuta». «Insultare metà del Paese rende tutto più difficile. Non è responsabile da parte della destra inasprire così i toni, creare un malessere istituzionale con gli attacchi a Napolitano e Ciampi» ha spiegato il leader del Pd.
Su Totti era arrivato a Berlusconi l'altolà di Paolo Cento, sottosegretario uscente all'Economia. «Il calciatore potrebbe votare anche per il suocero di Alemanno, cioè Rauti, ma non si discute - dice l'esponente della Sinistra l'Arcobaleno-: giù le mani di Milano dal Capitano; Berlusconi chieda scusa a Roma».
«Berlusconi deve fare solo una cosa: chiedere scusa a un grande campione che ha dimostrato di essere un uomo libero nelle sue idee» aveva poi dichiarato il candidato sindaco di Roma Francesco Rutelli a proposito delle dichiarazioni del Cavaliere sul capitano giallorosso».
Di parere del tutto opposto dell'altro candidato sindaco, Gianni Alemanno, in corsa per il Pdl. «L'appoggio di Francesco Totti a Rutelli non è una novità. Mi sembra sbagliato perché Totti è un calciatore e rappresenta un'icona per Roma. Dovrebbe rispettare i tifosi di sinistra e di destra» ha detto Alemanno.

articolo tratto da Corriere.it

20 dicembre 2007

Lo stato dei Lakota


Usa, la rivolta degli indiani Lakota: "Stracciamo i trattati con il governo"

Firmati 150 anni fa, sono "parole senza senso su carta prova di valore". Pronti nuovi passaporti, patenti di guida e niente tasse.

Vennero firmati più di 150 anni fa. Adesso non sono altro "che parole senza senso su carta priva di valore". Così gli indiani Lakota hanno deciso di stracciare i trattati firmati dai loro antenati con il governo Usa. E' netta la presa di posizione di una delle tribù Sioux più leggendarie, che ha dato alla storia figure come Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Destinatario il dipartimento Usa. Troppe violazioni, denunciano gli indiani. Continui abusi "per rubare la nostra cultura, le nostre terre e la nostra capacità di mantenere il nostro stile di vita". Per questo, dicono, quei trattati sono ormai carta straccia. Una lotta che cerca di salvare quel che resta di un'identità seriamente in pericolo. Con alcune tribù diventate "facsmili dei bianchi".
"Non siamo più cittadini statunitensi e tutti coloro che vivono nell'area dei cinque Stati del nostro territorio sono liberi di unirsi a noi" attacca Russell Means, uno degli attivisti più famosi, annunciando tra l'altro che, a coloro che rinunceranno alla nazionalità statunitense, saranno consegnati nuovi passaporti e patenti di guida e, nella nuova entità statale, non si dovranno più pagare le tasse. "Abbiamo 33 trattati con gli Stati Uniti che non sono stati rispettati" rincara la dose Phyllis Young, colui che aiutò a organizzare la prima conferenza sugli indigeni, a Ginevra nel 1977.
E' lunga e gloriosa la storia dei Lakota Sioux. Formidabili combattenti, guidati da Toro Seduto sconfissero il generale Custer nella battaglia di Little Big Horn, del 1876. Ma da allora molto tempo è passato. Oggi la loro storia parla di una media dei suicidi tra gli adolescenti di 150 volte superiore a quella statunitense, una mortalità infantile è cinque volte più alta e una la disoccupazione che tocca cifre altissime.

Articolo tratto da Repubblica.it

Gli Stai Uniti che non rispettano i "patti" e fanno quello che vogliono?! Strano...!

29 novembre 2007

A volte ritornano


Che fine ha fatto Monica

Siamo andati a ritrovare la ex stagista e gli altri protagonisti dello scandalo che divise l'America.

A dieci anni dal Sexgate, che a Bill Clinton quasi costò la carica di presidente degli Stati Uniti, Monica Lewinsky è rimasta un’ossessione nazionale che aleggia sulla campagna elettorale della ex first lady Hillary. La sua storia ritorna su giornali, radio e tv. Su internet proliferano blog a lei intitolati. I collezionisti danno la caccia agli accessori da lei disegnati tempo fa. E il suo nemico di allora, l’ex speaker della Camera Newt Gingrich, che incriminò Clinton per falsa testimonianza e ostruzione alla giustizia, ammette: «Neppure la figura di Marilyn Monroe si è impressa così nella psiche popolare».
In un decennio Monica e l’America sono cambiate. Lei non cerca più le luci della ribalta dal 2004, quando pubblicò l’autobiografia La mia vita. E Barbara Hutson, il suo press agent, non cerca più i media per reclamizzarne le iniziative (fallite in maggioranza), ma protegge la sua riservatezza. Gli americani, sebbene sempre spaccati sullo scandalo, non la considerano più una peccatrice, ma incominciano a vedere in lei una vittima. Mentre i Clinton haters, gli odiatori di Clinton, continuano a farla oggetto di barzellette oscene, personalità come la giornalista Barbara Walters e l’attrice Whoopy Goldberg la difendono pubblicamente. Quando possono, glissano pure gli stessi repubblicani, bruciati dai recenti Sexgate dei loro parlamentari.
Lo scandalo fu epocale. A cavallo del 1998, Monica, una stagista di 24 anni della Casa Bianca, iniziò una boccaccesca love story con il presidente Clinton. Il Drudgereport, un giornale on-line, la denunciò e il procuratore speciale Kenneth Starr, un repubblicano che indagava su presunti scandali della first lady Hillary, aprì un’inchiesta. Monica ingenuamente si confidò con la falsa amica, Linda Tripp, che consegnò al procuratore oltre 20 ore di conversazioni telefoniche. Interrogato, Clinton negò di aver fatto sesso con la stagista, ma Monica confessò per evitare il carcere. In un rapporto di 445 pagine al Congresso, Starr disse che il presidente aveva mentito e andava incriminato. La Camera obbedì, ma Clinton fu salvato dal Senato di misura.
Senza rendersene conto, Monica Lewinsky aveva provocato una crisi costituzionale, 25 anni dopo le dimissioni del presidente repubblicano Richard Nixon per il Watergate. Il Paese, traumatizzato, non perdonò Clinton (il suo vicepresidente Al Gore pagò per lui due anni dopo perdendo le elezioni) ma formò quadrato attorno a Hillary, la «leonessa» tradita che sfoderò gli artigli in difesa del marito. La stagista divenne il simbolo del male.
Senonché oggi, l’America sembra riabilitarla. Ha scritto Richard Cohen, columinist del Washington Post: «Il suo fu un errore di gioventù. Lo ha scontato. Merita di rifarsi una vita e di essere lasciata in pace».
Il mutamento di umore del Paese è dovuto all’esemplare condotta di Monica Lewinsky negli ultimi tre anni. tesi, “Alla ricerca della giuria imparziale: riflessioni sulle conseguenze della pubblicità prima del processo”, è stata un grido di dolore. «L’abbiamo sacrificata sull’altare del maschilismo», ha protestato Cohen. «Un uomo non passa alla storia per una trasgressione sessuale». E ha aggiunto: «Il principale colpevole del Sexgate fu Clinton, ma fu Monica a soffrirne, perché si illuse che il preNel 2005, l’ex dama bianca di Clinton si è trasferita in Inghilterra. Lo scorso gennaio ha preso una seconda laurea in psicologia sociale alla London School of Economics. La suasidente avrebbe lasciato Hillary per lei». L’America deve rispettarla, concude Cohen: «Dove si trova l’uomo coraggioso capace di sposarla?».
Per qualche mese Monica ha cercato un impiego a Londra, poi è ritornata in America. La scorsa estate, era residente a Portland nell’Oregon, alla cui università si era laureata la prima volta nel ’95, l’anno che entrò alla Casa Bianca. Marjorie Skinner, una disegnatrice, l’ha avvistata a Genes, un noto ristorante, e allo Urban grind bar. «Era con un gruppo di vecchi amici dell’università, l’ho trovata simpatica, disinvolta e in forma, una bella donna». Secondo il quotidiano locale, Monica, che a luglio ha compiuto 34 anni, abita in un condominio del Pearl district, il migliore rione cittadino, e lavora al marketing della rivista Mercury Monthly. Barbara Hutson, la sua press agent, rifiuta di svelare se abbia un compagno o un fidanzato.
Nell’autobiografia La mia vita, l’ex stagista ebbe parole amare per il presidente Clinton: «Quante menzogne, quante ferite», le sue ultime dichiarazioni pubbliche. Monica voleva lasciarsi il Sexgate alle spalle assieme ai fiaschi successivi: le parentesi da stilista, quella di conduttrice alla Fox e il suo infelice monologo a teatro. C’è riuscita. I suoi genitori sono divorziati dall’88, ogni tanto li va a trovare a Los Angeles dove la madre si è risposata. Evita Washington e si astiene dal commentare le elezioni. Con malizia, lo Hill Chronicle, il quotidiano del Congresso, ha scritto che «voterà repubblicano». Whoopy Goldberg è scattata: «Basta strumentalizzarla, non desidera altro che un’esistenza anonima». Esattamente come Linda Tripp, la nemica che non ha mai più visto. Si è nascosta in Virginia ed è rinata. L’italo americana Rose Carotenuto, il suo nome da nubile, era un’alta funzionario del Pentagono, da cui ha ricevuto un risarcimento danni di 600 mila dollari per essere stata licenziata in seguito allo scandalo. A 58 anni, con un divorzio alle spalle e con un figlio adulto, si è risposata con l’amore della sua adolescenza, l’architetto tedesco Dieter Rausch, e ha aperto con lui un negozio di oggetti natalizi a Middleburg. La chirurgia plastica e i consigli della stilista Yuki Sharoni l’hanno trasformata in una signora attraente. Linda non ha mai spiegato perché abbia tradito Monica. Prima ha addotto ragioni morali, poi l’appartenenza al partito repubblicano, quindi la necessità di proteggersi dalle rappresaglie di Clinton, ma è stata assolta dall’accusa di spionaggio a danno della Casa Bianca.
Al contrario, Kenneth Starr imperversa sulla scena nazionale. Avvocato del grande studio legale Kirkland and Ellis e preside della facoltà di giurisprudenza dell’università Pepperdine, in California. Ormai sessantunenne, l’ex procuratore è la punta di lancia dei repubblicani nelle dispute politiche. Starr, ironia della storia, si è specializzato nella difesa dei molestatori sessuali: il suo protetto più discusso è il miliardario Jeffrey Epstein, sospettato di abuso di divette minorenni. Ed è molto richiesto come conferenziere: il Sexgate, lamentano i clintoniani, è stata la sua fortuna.
Come per Matt Drudge, padre del Drudgereport, nel ‘98 un foglio elettronico semisconosciuto della destra, oggi un punto di riferimento indispensabile per tutti i media. Vive di «soffiate» dei repubblicani, e nel tentativo di neutralizzarlo i democratici gli hanno contrapposto lo Huffington Report di Arianna Huffington, l’ex vestale greca dei conservatori, oggi una liberal estremamente combattiva. Drudge lo ha preso come la conferma che a soli 45 anni è un gran sacerdote della politica statunitense. Dopo aver quasi distrutto Bill Clinton, adesso Matt sembra propenso a risparmiare Hillary: tra il cronista d’assalto e la ex first lady, anzi, ci sarebbe un certo feeling. Forse l’indiscreto Matt crede che Hillary sarà eletta presidente e lei pensa che avrà bisogno di lui.

Articolo tratto da Corriere.it

22 novembre 2007

Birmania: la repressione è stata dichiarata "deplorevole"


Birmania, Ue e Asean: «Liberate subito i prigionieri»


Dopo la risoluzione non vincolante dell'Onu che condanna la Birmania, giunge la dichiarazione congiunta di Unione europea e Asean (l'Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico), riuniti a Singapore, che chiedono la liberazione dei detenuti politici nel Paese e il rafforzamento delle relazioni economiche, ma senza fissare scadenze. «Accogliamo con favore la decisione del governo della Birmania per un impegno con le Nazioni Unite e un dialogo con San Suu Kyi, ricordando che un tale dialogo dovrebbe essere effettuato con tutte le parti interessate e i gruppi etnici», si legge nella dichiarazione congiunta del vertice Ue - Asean.
Il vertice, cui ha partecipato, per l'Italia, il sottosegretario agli affari esteri, Gianni Vernetti, si è tenuto in occasione dei 50 anni dalla nascita dell'Ue ed a 40 anni dalla creazione dell'Asean. Presenti capi di Stato e di governo, ministri degli Esteri e viceministri dei 27 Paesi dell'Ue e dei 10 Paesi dell'Asean.L'Unione Europea, con la recente nomina di Piero Fassino a inviato speciale, e l'Asean, di cui la Birmania è membro, sono impegnate in una soluzione pacifica della crisi. Alla condanna dell'Unione Europea, che è stata accompagnata dall'inasprimento delle sanzioni nei confronti del regime birmano, ha fatto riscontro la ferma posizione dell'Asean, che adottato per la prima volta lo scorso 27 settembre a New York una dichiarazione di riprovazione per la violenta repressione delle dimostrazioni antigovernative in Birmania.
La
giunta militare birmana era stata condannata anche dall´Onu il 20 novembre, con un documento in cui tra l´altro si chiede di «riprendere senza indugi il dialogo con tutti le parti», di liberare i prigionieri a partire dal premio Nobel Aung Sann Suu Kyi e si esprime sostegno all'inviato delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari. È stata la prima condanna espressa al Palazzo di Vetro. Le divisioni in seno al Consiglio di Sicurezza avevano costretto ad ammorbidire la dichiarazione finale che si limitava a «deplorare» la repressione.

Articolo tratto da L'Unità.it

Dei passi da gigante...la prossima presa di posizione sarà dichiarare "monello" il regime militare?!

21 novembre 2007

Libera informazione e libera concorrenza


La rete segreta del Cavaliere che pilotava Rai e Mediaset

Nelle intercettazioni tra 2004 e 2005 allegate all'inchiesta sul fallimento della Hdc dell'ex sondaggista Crespi, la prova che alla concorrenza si era sostituita la complicità.

"Media-Rai". Le due superpotenze nazionali della tv, che dovrebbero competere aspramente per la conquista dell'audience, fare a gara nella pubblicazione di servizi esclusivi, in realtà si scambiano informazioni sui palinsesti. Concordano le strategie informative nel caso dei grandi eventi della cronaca. Orchestrano i resoconti della politica. Su tutto, la grande mano di Silvio Berlusconi e dei suoi collaboratori, che quotidianamente tessono la tela, fanno decine, centinaia di telefonate, si scambiano notizie, organizzano fino ai più piccoli dettagli. È il quadro che emerge dalle intercettazioni telefoniche - realizzate tra la fine del 2004 e la primavera del 2005 - allegate all'inchiesta sul fallimento della "Hdc", la holding dell'ex sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi. E in particolare dai resoconti, redatti dalla Guardia di Finanza, delle conversazioni telefoniche di Debora Bergamini, ex assistente personale di Berlusconi e, all'epoca, dirigente della Rai, e di Niccolò Querci, pure lui ex assistente di Berlusconi e, all'epoca, numero tre delle televisioni Mediaset.
La "ragnatela" avvolge e intreccia le vicende della tv di Stato con quelle di Mediaset. I direttori di Tg1 e Tg5 (all'epoca Clemente J. Mimun e Carlo Rossella) fanno, testuale, "gioco di squadra". Il notista politico del Tg1 informa la Bergamini e la rassicura sul fatto che le notizie più spinose saranno relegate in coda al servizio di giornata. Fabrizio Del Noce cuce e ricuce, assicurando che Bruno Vespa, nella sua trasmissione, accennerà "al Dottore in ogni occasione opportuna". Querci, insieme al gran capo dell'informazione Mediaset, Mauro Crippa, cuce sul versante opposto. E arriva fino ad occuparsi delle vicende del festival di Sanremo (quell'anno affidato a Paolo Bonolis), cioè della trasmissione di massimo ascolto dell'azienda che dovrebbe essere concorrente. E poi ancora, le fibrillazioni in due fasi delicate: la morte del Papa e le elezioni amministrative dell'aprile 2005.
L'allora presidente Ciampi è pronto per una dichiarazione a reti unificate per onorare Giovanni Paolo II? La Bergamini allerta prima l'assistente personale del Cavaliere e poi Del Noce per preparare una performance parallela dell'inquilino di Palazzo Chigi. E ad essere allertato è anche il "rivale" Crippa. Le elezioni sono andate male? Bisogna "ammorbidire" i resoconti sui risultati elettorali. La Bergamini contatta Querci e con lui concorda la programmazione televisiva. La ragnatela avvolge tutto, pensa a tutto, provvede a tutto.

Articolo tratto da Repubblica.it

Il conflitto di interessi non è mai esistito, questo articolo è un'altra invenzione dei "comunisti mangia bambini" e di tutti quelli invidiosi della sagacia imprenditoriale (quale professione...amico di politici, cantante da piano bar, latin lover, operaio, allenatore di calcio...mah!) del povero Silvio!

30 ottobre 2007

Gli "intoccabili"


Iraq, per i civili uccisi immunità ai mercenari Blackwater


Gli investigatori del Dipartimento di Stato Usa hanno concesso l'immunità alle guardie di sicurezza della Blackwater in merito all'inchiesta sulla morte di 17 iracheni lo scorso 16 settembre a Baghdad. A riportarlo, in un articolo consultabile online , è il New York Times che sottolinea - citando funzionari governativi - come di fatto si frenino così tutti gli sforzi per perseguire i vigilantes della società coinvolti nell'episodio.
Secondo quanto riporta il giornale gli investigatori del braccio investigativo dell'agenzia, il Bureau Diplomatic Security, non hanno il potere di concedere l'immunità, mentre i procuratori del dipartimento di giustizia che, invece, questo potere lo hanno non hanno ricevuto alcuna informazione sul dispositivo. Le fonti confidenziali, sotto anonimato, riferiscono poi che alla maggior parte delle guardie della Blackwater, implicate nella vicenda del settembre scorso, è stata offerta una sorta di immunità, per così dire, limitata.
E cioè gli è stato promesso che non sarebbero stati perseguiti per quel avrebbero detto durante i colloqui se avessero affermato la verità.
La questione dell'immunità ha rappresentato una sgradita sorpresa per il Dipartimento di G
iustizia che era già alle prese con questioni giuridiche relative a come intraprendere azione penali su civili americani in Iraq.
I dipendenti della Blackwater e altri contractor non possono essere, infatti, giudicati da tribunali militari e non è ancora chiaro - scrive il New York Times - come le leggi penali americane possano coprire reati com
messi in territorio iracheno.
Tra l'altro gli americani non possono essere giudicati dalla legge irachena anche in base ad un accordo siglato dall'autorità d'occupazione degli Usa nel 2003 e che non è stato abrogato dal Parlamento iracheno.

Articolo tratto da IlSole24Ore.org

06 luglio 2007

Simpatico umorista...

Silvio e la Thatcher, Independent: «Volgare»

Il Cavaliere sulla Lady di Ferro: se fosse stata una gnocca me la ricorderei
L'ennesima battutaccia di Berlusconi scatena la reazione dei giornali britannici

How do you say "nyokka"? Che poi, nella traslitterazione inglese, sarebbe
l’italianissimo e non molto raffinato "gnocca": il termine evocato da Silvio Berlusconi a proposito di Margaret Thatcher e ripreso ieri dall’incredulo quotidiano The Independent.
Titolo: "Il volgare Berlusconi rende omaggio al sex appeal della Lady di ferro". Il Cavaliere, in realtà, non le aveva fatto esattamente un complimento ("Se fosse stata una bella gnocca me ne ricorderei"), ma il giornale inglese pare non accorgersene, riprende "l’elogio alla sua eroina ideologica" e si cimenta in una traduzione ottimistica ("A great piece of pussy"), salvo spiegare che la famosa "gnocca", da pronunciarsi "nyokka", è "un termine volgare dal significato di "vulva", la definizione standard utilizzata da operai edili, camionisti e primi ministri di lungo corso nei confronti di qualsiasi donna attraente che incroci il loro cammino".
The Independent ricorda come Mitterrand dicesse che la Thatcher aveva "gli occhi di Caligola e la bocca di Marilyn Monroe" e osserva sarcastico: "Evidentemente l’attenzione di Berlusconi era focalizzata altrove".

Articolo tratto da Corriere.it

09 gennaio 2007

Errare è umano, perseverare è diabolico...

Attacco aereo Usa sulla Somalia
Il governo: «Almeno 30 morti»


Il governo degli Stati Uniti interviene nella crisi somala con un doppio bombardamento nei confronti di presunti terroristi di al Qaida in due diverse località nel sud della Somalia. Il ministro della Difesa somalo, Barre «Hirale» Aden Shire, ha dichiarato che un aereo AC-130 ha colpito, l
unedì pomeriggio, obiettivi di al Qaida a Ras Kiamboni, mentre un testimone oculare ha riferito all'agenzia di stampa Associated Press di un attacco nei pressi di Afmadow, 250 chilometri a nord di Ras Kiamboni. Ci sarebbero già alcune vittime: secondo il governo ad interim i morti dell'attacco sono almeno 30. Un portavoce ha precisato che l'attacco era autorizzato dal governo del premier somalo Ali Gedi, e ha preso di mira 3 villaggi nei pressi del confine con il Kenya divenuti il rifugio di presunti «miliziani islamici» sospettati degli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania che nel 1998 fecero oltre 200 vittime. Ma, secondo testimonianze locali, le vittime sarebbero soprattutto civili, compresi i 6 componenti di un'unica famiglia che partecipavano a un matrimonio. Secondo quanto anticipato dalla tv americana Cbs, che ha citato fonti del Pentagono, gli Usa avrebbero colpito il leader di al Qaida nell'Africa orientale e un membro dell'organizzazione terroristica, sospettato di aver partecipato agli attentati del 1998. Il presidente somalo Abdullahi Yusuf ha dichiarato che Washington ha «il diritto di bombardare i sospetti terroristi che hanno attaccato le sue ambasciate». Il comando Usa ha annunciato l'invio al largo delle coste somale della portaerei USS Dwight D. Eisenhower per operazioni di anti-terrorismo. La Somalia negli ultimi mesi è stata teatro di scontri tra le Corti islamiche e il governo provvisorio del presidente Yusuf. Da quando a luglio del 2006 le Corti islamiche hanno preso il controllo di Mogadiscio e di oltre due terzi del territorio nazionale, Washington ha iniziato una battaglia contro il movimento islamico accusandolo di sostiene al Qaeda. Gli Usa in Somalia sostengo quindi finanziariamente i cosiddetti “signori della guerra” che combattono contro le Corti. E poi da dicembre, quando l'Etiopia entra ufficialmente nel conflitto somalo e il governo di Addis Abeba annuncia un «contrattacco» contro le milizie delle corti islamiche, Washington cambia strategia e appoggia l'Etiopia. A questo punto, il 28 dicembre 2006, le truppe etiopiche cacciano le milizie delle Corti islamiche da Mogadiscio. E gli Usa si spostano a largo della Somalia e del Kenya per bloccare gli islamici in fuga. Il bombardamento dei villaggi al confine del Kenia avvenuto lunedì, ma di cui si è avuto notizia solo il giorno successivo, è quindi l'ultimo atto dell'intervento Usa nel Paese.

Articolo tratto da L'Unità

Meglio sempre anticipare le mosse del nemico...ma se Bush fosse stato presidente durante la guerra fredda avrebbe attaccato l'ex Unione Sovietica con testate atomiche per prevenire le mosse dell'avversario?!

03 gennaio 2007

Ufficio complicazioni affari semplici

Ma che senso ha avuto l'impiccagione di Saddam?!
Che fosse stato un tiranno che ha fatto uccidere e torturare migliaia di persone nessuno lo discute, ma perchè giustiziarlo facendolo diventare un martire per motli sunniti?!
Se proprio lo volevano eliminare, non era meglio (e più astuto dal punto di vista politico) farlo al momento della cattura e poi inventarsi la balla che voleva scappare o reagire?
I cervelloni di Washington avranno voluto "punirne uno per educarne cento", ma in questo caso l'effetto ottenuto non penso sia quello desiderato!
Lasciamo perdere poi lo sciacallaggio mediatico sulla diffusione delle immagini dell'esecuzione...tutto pur di vivere esperienze forti che non ci appartengono...sembra di vivere nel film "Strange days"

14 novembre 2006

Gli smemorati...

Tokio rivendica un riarmo nucleare "di difesa"

Ammesso che abbia mai avuto complessi di colpa – o di vergogna – per Pearl Harbour e la partecipazione alla Seconda guerra mondiale a fianco delle potenze nazifasciste dell´Asse, Tokyo non ne ha più. E dopo aver mandato un piccolo contingente militare in Iraq – prima uscita dai confini dei soldati nipponici da allora - , e nel bel mezzo della crisi nucleare con la Corea del Nord, ora il Giappone – per la prima volta – rivendica a sua volta un riarmo atomico. In risposta a un'interrogazione scritta alla Camera capo del governo – l´ultraconservatore, Shinzo Abha, membro dell´establishment nipponico – ha dichiarato martedì che, su un piano puramente legale, ritiene di avere diritto a un «minimo necessario» di armi atomiche per autodifesa.
Il governo giapponese, nonostante la disponibilità della Corea a tornare a trattare il suo disarmo atomico in cambio di sovvenzioni economiche, continua a applicare l´embargo. Recentemente Tokyo ha approvato una lista di prodotti posti sotto embargo, nel quadro delle sanzioni decise contro Pyongyang dopo il test nucleare nordcoreano di ottobre. Il segretario del governo giapponese, Yasuhisa Shiozaki, ha riferito che la lista comprende 24 prodotti di lusso, tra cui le sigarette, gli alcolici, i profumi e le motociclette, tutti prodotti utilizzati dai dirigenti nordcoreani e soprattutto dal "caro leader", il dittatore Kim Jong Il. Il Giappone era stato minacciato direttamente da Pyongyang nel pieno della crisi del test nucleare. E sicuramente non intende lasciare alla Cina la potestà strategica sull´intera Asia. Oltretutto in questo periodo i rapporti diplomatici tra Russia e Cina sembrano volti al bello e ciò, da sempre, mette notevolmente in allarme l´altra potenza economica dell´area.


Articolo tratto da L'Unità.it

"Capisco" la voglia di dotarsi della bomba atomica della Corea del Nord, il cui regime dittatoriale vuole dimostrare al popolo la propria potenza, ma una nazione come il Giappone che ha provato sulla sua pelle le tragiche conseguenze della bomba atomica NO!
Non ne hanno avuto abbastanza?!!

13 novembre 2006

Effetti della guerra in Vietnam

DA NANG, Vietnam -- For a stark reminder of the Vietnam War, people living near the airport in this central industrial city can still stroll along the old stone walls that once surrounded a U.S. military base. But Luu Thi Nguyen, a 31-year-old homemaker, needs only to look into the face of her young daughter.
Van, 5, spends her days at home, playing by herself on the concrete floor because local school officials say her appearance frightens other children. She has an oversize head and a severely deformed mouth, and her upper body is covered in a rash so severe her skin appears to have been boiled. According to Vietnamese medical authorities, she is part of a new generation of Agent Orange victims, forever scarred by the U.S.-made herbicide containing dioxin, one of the world's most toxic pollutants.
For decades, the United States and Vietnam have wrangled over the question of responsibility for the U.S. military's deployment of Agent Orange. But officials say they are now moving to jointly address at least one important aspect of the spraying's aftermath -- environmental damage at Vietnamese "hot spots" such as Nguyen's city, Da Nang -- that are still contaminated with dioxin 31 years after the fall of Saigon.
Though neither Nguyen nor her husband was exposed to the Agent Orange sprayed by U.S. forces from 1962 to 1971, officials here say they believe the couple genetically passed on dioxin's side effects after eating fish from contaminated canals. "I am not interested in blaming anyone at this point," the soft-spoken Nguyen said on a recent day, stroking her daughter's face. "But the contamination should not keep doing this to our children. It must be cleaned up."
Vietnamese and U.S. officials last year conducted their first joint scientific research project related to Agent Orange. Testing of the soil near Da Nang's airport, where farmers say they have been unable to grow rice or fruit trees for decades, showed dioxin levels there as much as 100 times above acceptable international standards.
Now the United States is planning to co-fund a project to remove massive amounts of the chemical from the soil. A senior U.S. official involved in Vietnam policy said the plan is evidence that the two countries, having embarked on a new era of economic cooperation, are finally collaborating to address the problem.
"The need to deal with environmental cleanup is increasingly clear, and we're moving forward from talking to taking concrete actions to respond to the issue," the official said, speaking on condition of anonymity because the project has not yet been publicly announced.
The more politically sensitive issues of responsibility and direct compensation for victims remain unresolved. Although medical authorities here estimate that there are more than 4 million suspected dioxin victims in Vietnam, the United States maintains that there are no conclusive scientific links between Agent Orange and the severe health problems and birth defects that the Vietnamese attribute to dioxin.
Still, with a much-changed Vietnam now among Asia's most dynamic economies -- the French luxury house Louis Vuitton has opened a branch in Hanoi, and the hottest nightspot in the capital is a glitzy disco called Apocalypse Now -- both sides appear more willing to seek common ground. Ahead of President Bush's first official visit to Vietnam this week, some also express hope that they are taking the first steps toward a reconciliation on their most divisive wartime issue.

Articolo tratto da
Washingtonpost.com

Golpe mancato

In un documentario i «brogli» del Polo

MILANO — Uccidete la democrazia!, il nuovo film di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con la regia di Ruben H. Oliva, non è questione di sindrome da complotto ma di numeri, numeri e ore. Gli autori lo dicono subito, prima che scorrano in anteprima le immagini e Gola Profonda inizi il suo racconto. La notte di lunedì 10 aprile 2006 è ormai sfumata nel martedì e l'Italia è in sospeso, il flusso dei dati elettorali s'è bloccato, «non si riesce a capire che sta succedendo» dice Romano Prodi, l'esito delle elezioni è più che mai in bilico e intanto a Palazzo Grazioli, quartier generale di Berlusconi, è arrivato Beppe Pisanu. Mai successo che un ministro dell'Interno lasciasse il suo posto in un momento così. C'era già stato verso le 19,20. Per convocarlo, alle 23,14 gli telefonano al Viminale, «l'hanno costretto, letteralmente costretto ad andare». Berlusconi è furibondo, «gli grida in faccia, dice che lui non è disposto a perdere per una manciata di voti». Pisanu torna al Viminale e là ci sono quelli dell'Unione. Marco Minniti, Ds, è piombato in sala stampa agitatissimo, ha cercato i funzionari, ha fatto una telefonata. Poi si è rasserenato. Testimonianze. Immagini dei tg. E Gola Profonda che racconta: più tardi, a Palazzo Grazioli, ci sono quattro uomini chiusi in una stanza. Berlusconi, Bondi, Cicchitto e, ancora, Pisanu. Il Cavaliere non ci sta. E il clima si fa pesante, per il ministro. Volano insulti, «vigliacco», «traditore». Sono le 2.44 quando Piero Fassino annuncia alle telecamere: abbiamo vinto. A quanto pare dal film, il grande imbroglio informatico è sfumato in extremis, il programma che nel sistema di trasmissione dati del Viminale trasformava le schede bianche in voti per Forza Italia è stato fermato a ventiquattromila voti dal traguardo, l'esiguo vantaggio dell'Unione. E a questo punto le immagini rallentano, scrutano il volto segnato del segretario Ds, le occhiaie scure, lo sguardo cupo, mai vista una proclamazione così. In via del Plebiscito Berlusconi fa chiamare l'onorevole Ghedini, vuole preparare un decreto che dice farà approvare dal Consiglio dei ministri per sospendere il risultato elettorale fino a un nuovo conteggio e assicura che lo farà firmare a Ciampi.
Ma dal Colle fanno sapere che il Presidente «non vuole neanche sentirla», una richiesta simile. Abbiamo evitato un golpe? «Non s'innamori dei paroloni: guardi i numeri», sorride Gola Profonda, alias uno strepitoso Elio De Capitani, l'ex «Caimano» di Moretti che nel film incarna tutte le fonti riservate dell'inchiesta. Il personaggio che racconta quella notte delle Politiche 2006 è fittizio, «ma i numeri sono veri», spiega Deaglio, «aspettiamo che intervengano i magistrati, che il ministro chiarisca, che il presidente Napolitano ci rassicuri ». Gli autori sono partiti da un libro, Il broglio, firmato da un anonimo «Agente Italiano» e uscito a maggio. Il dvd contiene i dati provincia per provincia. Numeri che il Viminale pubblica di solito «dopo 40 giorni» e fino ad oggi sono rimasti riservati. Perché? «Perché sono impresentabili, ecco perché». Al centro del «docu-thriller», il mistero delle schede bianche. Dalle Politiche 2001 a quelle 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono crollate: da 1.692.048 ad appena 445.497, 1.246.551 in meno. Maggiore partecipazione? Ma gli elettori, al netto dei votanti all'estero, sono stati di meno: 39.424.967 contro i 40.190.274 di cinque anni fa. E soprattutto ci sono le «anomalie» statistiche. L'Italia è varia, la percentuale di «bianche» nel 2001 cambiava ad ogni regione, 2,6 in Toscana, 9,9 in Calabria, 5,5 in Sardegna... L'animazione del film fa ruotare lo Stivale come in una centrifuga, nel 2006 i dati sono omologati, «tutto dall'1 al 2%, isole comprese!». Tutto più o meno uguale, e non un posto dove le bianche non siano calate. In Campania, per dire, si è passati da 294.291 bianche a 50.145, meno duecentocinquantamila, dall'8 all'1,4%. E poi c'è la successone degli eventi. Alle 15 il primo exit-poll dà all'Unione cinque punti di scarto, come tutti i sondaggi. Ma alle 15,45 Denis Verdini, responsabile dell'ufficio elettorale di Forza Italia, dice che «alla Camera è testa a testa, lo si vedrà dopo diverse proiezioni».
E infatti: un'animazione mostra la «forbice» tra gli schieramenti che diminuisce «regolare come un diesel», ogni ora la Cdl guadagna mezzo punto e l'Unione lo perde. I primi dati del Viminale arrivano alle 20,19 e proseguono col contagocce. Alle 21,38 l'Ulivo invita a «presidiare i seggi», quando si bloccano i dati manda il segretario provinciale a Caserta. Inizia la lunga notte. Resta da scoprire l'arma del delitto. E Deaglio, nel film, vola in Florida a intervistare Clinton Curtis, programmatore informatico che nel 2001, inconsapevole, preparò un software per truccare le elezioni e poi ha denunciato tutto e ne ha fatto una battaglia. «Qualsiasi broglio le venga in mente, con la matematica si può fare». E al direttore di Diario, in mezz'ora, prepara un programma che distribuisce in automatico le bianche a uno schieramento lasciandone una percentuale tra l'1 il 2, «si può inserire nel computer centrale o a metà della rete, bastano quattro o cinque persone». Deaglio dice che le bianche mancanti e i voti in più di Forza Italia corrispondono: «Sono gli unici risultati sbagliati dagli exit-poll». Problema: se è vero, perché Berlusconi ha perso? La tesi del film è nella domanda che Deaglio fa a Curtis: è possibile interrompere il processo? «In ogni momento». Si torna alla notte di Palazzo Grazioli. Le pressioni su Pisanu. Il «colpo di teatro», l'arresto di Provenzano l'indomani. E l'«antropologia» dei democristiani, il loro fiuto infallibile. Gola Profonda conclude: «Quella sera il ministro ha fiutato. Ha capito subito che Berlusconi era un gatto che si agitava, ma era un gatto morto. E ha agito di conseguenza».

Articolo tratto da Corriere.it


Per fortuna che sono i "COMUNISTI" che ce l'hanno su con il Cavaliere e complottano contro di lui!
Dopo aver scoperto che l'uno per mille destinato "in beneficienza" è stato usato per sovvenzionare la missione in Iraq e Afghanistan cos’altro scopriremo nell’armadio del precedente governo?!

10 novembre 2006

I Repubblicani perdono le elezioni di metà mandato in U.S.A.: che gli Americani si siano accorti delle cavolate fatte da Bush?!

WASHINGTON - «Dobbiamo lavorare assieme per i prossimi due anni». Il presidente americano, George W. Bush, ammette di essere «deluso» per la sconfitta elettorale dei repubblicani, riconosce di avere una parte di responsabilità e tende la mano ai democratici dopo il risultato delle elezioni di medio termine. «Per loro è stata una bella notte. Adesso bisogna superare le differenze per aiutare l'America a risolvere i suoi problemi. Gli americani vogliono che i partiti lavorino assieme per affrontare le sfide del futuro. Possiamo lanciare una nuova era di cooperazione».
«NUOVA DIREZIONE» - «Gli elettori vogliono che ci muoviamo in una nuova direzione - ha affermato Bush durante una conferenza stampa alla Casa Bianca - e credo che si debba rispettare la loro volontà. Sono ovviamente dispiaciuto ma ora occorre lavorare di comune accordo per guidare il Paese». La nuova direzione riguarda anche l'Iraq. «Parleremo con i nuovi deputati e senatori e ascolteremo le loro idee - ha detto Bush - e la prossima settimana conosceremo i risultati del gruppo di studio guidato dall'ex segretario di Stato, James Baker».
LA QUESTIONE IRACHENA - «Sono cambiate molte cose con queste elezioni - ha ammesso Bush - ma non cambiano le mie responsabilità principali: proteggere gli Usa dai pericoli». A proposito delle dimissioni di Donald Rumsfeld, Bush ha detto che la decisione era stata stata presa prima delle elezioni: «Ne parlavamo già da tempo. Non ho voluto annunciarla prima per non iniettare insicurezza negli ultimi giorni della campagna elettorale. Ma avevo già parlato con Rumsfeld della necessità di avere nuove prospettive sulla missione irachena. E anche lui era d'accordo. Insieme, ieri (martedì, ndr), abbiamo deciso che era giunto il momento di accettare le sue dimissioni». «Sono certo che Robert Gates (ex direttore della Cia, ndr) sarà in grado di offrire queste nuove prospettive - ha detto ancora il presidente - grazie alla sua esperienza manageriale. Restiamo impegnati per la vittoria. La sconfitta in Iraq non è un'opzione. Le nostre truppe torneranno a casa solo quando la vittoria in Iraq sarà completa. Quando il lavoro sarà finito». Il presidente ammette però che «c'è bisogno di qualche aggiustamento nella tattica. Anche Rumsfeld ha capito che l'Iraq non è una questione che si sta risolvendo in modo sufficientemente positivo e veloce. Insieme abbiamo valutato la situazione e abbiamo concordato il nuovo leader al Pentagono». Poi il presidente lancia un messaggio ai nemici dell'America: «Non dovete essere contenti di questa sconfitta. Noi andremo avanti».

Articolo tratto da Repubblica.it

Che sia la volta buona che gli Stati Uniti la smettano di pensare di essere i padroni del Mondo?
Che finalmente abbiano capito (dopo essersi resi conto di essere finiti in un nuovo Vietnam!) che la storia di esportare la democrazia in Iraq era solo una scusa per avere nuove riserve di petrolio a portata di mano?
Mah...