02 marzo 2008

"Educazione collettiva alla pace"


Kenya, chi ricostruirà la pace?


Chi ricostruirà la pace, in Kenya? Ieri migliaia di persone hanno celebrato nelle strade l'annuncio di un accordo di «condivisione del potere» tra il presidente Mwai Kibaki e il leader dell'opposizione Raila Odinga. Un sollievo collettivo: l'ondata di violenza seguita alle contestate elezioni del 27 dicembre è stata la più grave nella storia del Kenya indipendente, ha fatto oltre 1.000 morti e oltre 300mila sfollati. Soprattutto ha polarizzato le comunità e ha devastato la vita di milioni di persone, soprattutto povera gente. Risolvere l'impasse politico era senza dubbio il primo passo, indispensabile per fermare la violenza. In questo è stata determinante la mediazione dell'ex segretario dell'Onu Kofi Annan e di Graça Machel. Ora però il compito di riunire le comunità e ripristinare la fiducia reciproca richiede un approccio molto attento da parte del governo, delle forze della società civile, della comunità internazionale. Nelle ultime settimane, il braccio di ferro politico e il viavai di diplomatici stranieri hanno dominato le notizie sul Kenya, ma nella copertura mediatica la sofferenza delle persone è scomparsa. Il senso di paura rimasto nell'animo dei kenyoti è tangibile nel campo Showground, a Nakuru, nella Rift Valley. Sono qui con alcuni colleghi di ActionAid kenya, impegnati in un'opera di sostegno umanitario e di iniziative per ricostruire la pace. In questo campo hanno trovato riparo molti sfollati interni. Ho incontrato famiglie che cercano di non soccombere alla rassegnazione e alla disperazione. Ciome Josephine: ha allestito un «negozio» di fortuna dove vende verdure. Lei, il marito e i loro 7 figli sono fuggiti dalla città di Kamora nell'ottobre scorso: «Eravamo in casa. D'improvviso gli uomini armati hanno cominciato ad attaccare le case vicine. Siamo fuggiti». Da allora la vita della famiglia è stata stravolta. Hanno raggiunto dapprima la relativa sicurezza della casa ancestrale di Josephine a Mogotio. Ma il 27 gennaio, quattro settimane dopo le elezioni, la violenza è arrivata anche là. Questa volta sapevano che la loro famiglia non sarebbe stata risparmiata e sono fuggiti di nuovo, prendendo sù il poco che potevano. Donne e bambini sono stati particolarmente colpiti, molti qui raccontano di aver visto uccidere membri della propria famiglia. Al Gender Recovery Centre dell'Ospedale civile di nairobi una consigliera spiega che la spirale di violenza ha lasciato il segno: «ogni giorno vediamo arrivare persone che soffrono di estremo stress e trauma». Ci sono stati molti casi di violenza specialmente diretta a donne e ragazze, un assortimento di orrori che include lo stupro. «Sono ferite profonde e ci vorrà tempo per tornare alla normalità». E se è importante provvedere cibo, acqua, riparo e tutti i concreti bosogni, sarà necessario anche ricostruire il benessere emotivo. La violenza ha lasciato profonde divisioni tra le comunità, riacceso vecchi odii, eroso la fiducia reciproca tra le molte etnie del Kenya. Per ricostruire la pace è necessario coinvolgere le persone di ogni comunità. Una «road map» per la ricostruzione dovrà appoggiarsi in primo luogo alle donne e ai giovani. È necessario che le donne abbiano un ruolo centrale; quanto ai giovani, sono circa 2 terzi dell'elettorato e hanno avuto un ruolo distruttivo nella violenza: è necessario il loro impegno attivo, e bosogna anche creare lavoro per loro. Ci vogliono interventi di ricostruzione «conflict-sensitive», cioè che non amplificano discordie ma al contrario siano pensati per risolverne le cause. Servono, anzi, investimenti capaci di combattere la povertà e l'ingiustizia. I media devono contribuire alla pacificazione, così come la comunità internazionale. Serve una «educazione collettiva alla pace». Anche lo sport e la cultura hanno un ruolo cruciale da giocare - mai sottostimare il potere unificante del calcio...

Articolo di Unnikrishnan PV, medico, consigliere sulla sicurezza umana per ActionAidInternational

Articolo tratto da IlManifesto.it

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