02 febbraio 2008

La situazione a Nyahururu


Notizie dall'
AssociazioneSaintMartin di Nyahururu, Kenya.

"Molti
mi hanno chiesto di aiutarli a capire quello che sta succedendo da queste parti: è tutto un po’ confuso, ma provo a dire qualcosa. Prima però vorrei condividere con voi una lettera che ho ricevuto in questi giorni:
"Mi chiamo Cher, sono una giovane donna di 24 anni e sono kalenjin. Sono cresciuta in mezzo a gente kikuyu e i miei amici d'infanzia sono tutti kikuyu. Abbiamo giocato e siamo andati a scuola assieme. Anche adesso la maggioranza dei miei amici sono Kikuyu.Nonostante questo i miei genitori mi hanno sempre racco
mandato di stare attenta ai kikuyu perché anche quando sembrano persone per bene, sono i nostri peggiori nemici. E così, sono cresciuta con la mentalità che questi miei compagni di vita in realtà sono i miei nemici. Ricordo la rabbia del mio papà quando mio fratello iniziò a frequentare una ragazza kikuyu. Diceva che le donne kikuyu uccidono i loro mariti e che non avrebbe permesso in nessun modo che entrasse un nemico in casa. Mio fratello fu costretto a lasciare la sua fidanzata. Ricordo anche il giorno in cui tornai a casa da scuola assieme a due ragazze kikuyu mie compagne di classe. La scuola chiudeva un paio di giorni e loro abitavano lontano e non avevano il tempo per tornare alle loro case. Furono giorni molto belli. Quando tornammo a scuola, le mie amiche mi confidarono i timori che avevano prima di venire a casa mia. Dissero che i loro genitori le avevano messe in guardia molte volte di tenersi alla larga dalle case dei kalenjin perché sono persone pericolose e pronte ad uccidere. Io non ho avuto il coraggio di dire loro che i miei genitori dicevano le stesse cose dei kikuyu. Riconosco nel mio cuore un odio profondo contro i kikuyu per tutto quello che sta succedendo in Kenya. Ne chiedo davvero perdono. In realtà i kikuyu non mi hanno fatto mai nulla di male, ma sento di aver ereditato questo odio dalla mia famiglia. Forse è responsabilità delle persone giovani imparare a perdonarci e ad accoglierci per dimostrare ai nostri genitori che il loro insegnamento impregnato di odio e avversione era sbagliato. Sono convinta che non esista una tribù migliore dell’altra e che siamo tutti uguali...."
Questa lettera di Cher racconta quello che è nascosto nei cuori, quello che non si vede. Quello che invece si vede è una guerra tra fratelli che è iniziata a Kisumo e a Eldoret dove i Luo e i Kalenjin hanno reagito ai risultati elettorali cacciando dalle loro città i Kikuyu. La rabbia e il risentimento covati per molti anni
sono emersi in un desiderio di rivalsa che poi è degenerato in una violenza cieca e distruttiva: case, attività commerciali e auto dati alle fiamme, violenze sessuali, omicidi. I kikuyu sono fuggiti dando vita al più triste esodo della storia di questo paese e trovando rifugio prevalentemente nella città di Nakuru. Da qui moltissimi sono partiti per trovare ospitalità nei nostri altopiani. Abbiamo cercato di mobilitare le nostre comunità per provvedere ai bisogni di migliaia di rifugiati. Il Saint Martin si è fatto carico anche di mettere a disposizione personale preparato all’ascolto delle persone che avessero subito traumi gravi.
E così si è aperto l’inferno della vendetta tra i kikuyu rimasti a Nakuru. Giovedì 24 gennaio, poche ore dopo la stretta di mano tra Kibaki e Raila in presenza di Kofi Annan, tre kalinjin sono stati uccisi a Nakuru. Immediata la risposta della comunità Kalenjin che ha incendiato decine di case Kikuyu, i quali a l
oro volta hanno iniziato a bruciare le case e le attività commerciali degli avversari. Mentre aumentava il numero dei morti da entrambi gli schieramenti, le ritorsioni si inasprivano tra i kikuyu: venivano puniti anche i kikuyu stessi che in qualche modo avessero aiutato i “nemici” a fuggire oppure offerto loro ospitalità. I kikuyu delle vicine città di Naivasha, Gilgil, Subukia, non hanno tardato a seguire il triste esempio di Nakuru. L’ondata di violenza è arrivata anche nei nostri altopiani. Domenica 28 gennaio ci sono stati degli scontri nella nostra città, che hanno seminato paura e terrore. Due persone sono state uccise nel villaggio di Gatundia. Domenica sera, tutti i non kikuyu hanno cercato asilo nella caserma di polizia: centinaia di persone ammassate al freddo e terrorizzate da quello che sarebbe potuto succedere. I volontari del Saint Martin si sono organizzati e hanno allestito un campo di emergenza in quattro ore procurando tende, coperte e cibo. I volontari sono tutti Kikuyu e per questo loro impegno ad aiutare i “nemici” hanno rischiato rappresaglie. Lunedì sono arrivate al Saint Martin le minacce: i volontari sono stati costretti a nascondere il furgone dalla parte opposta della città, perché un gruppo di fanatici erano intenzionati ad organizzare un agguato per bruciarlo. Siamo diventati vittime di una persecuzione promossa da pochi ma capace di influenzare molti: ci viene negato il trasporto con i mezzi pubblici, minacciano di dare alle fiamme gli ambienti dove lavoriamo, si dice in giro che il Saint Martin aiuta solo i “nemici” e abbandona i kikuyu rifugiati negli altri campi profughi, che invece noi abbiamo continuato a servire senza sosta. Nonostante le apparenze non corriamo nessun pericolo. È stata messa in piedi una strategia del terrore: cercano di diffondere paura, puntano a fiaccare e scoraggiare chi lavora per le persone che appartengono ad altre tribù. Lo scopo finale è poter isolare i non kikuyu e costringerli ad andarsene. Otieno è un Luo, ma è sempre vissuto in questa terra. È una persona pacifica e piena di iniziativa: ha saputo mettere in piedi un complesso abitativo notevole, dal quale ricava una rendita che gli permette di vivere. Le sue case sono state prese di mira e gli inquilini le hanno abbandonate per paura che potessero venire bruciate. Alla fine anche Otieno è stato costretto ad andarsene per trovare ricovero sotto le tende del campo profughi. La sua prima preoccupazione non è stata di trovare una sistemazione per la sua famiglia, ma ha consegnato le chiavi della sua casa, rendendola disponibile per le molte famiglie kikuyu costrette nei campi profughi. Non era difficile indovinare che avrebbe voluto ricevere un affitto dal Saint Martin per rendere possibile l’operazione, e invece, ci ha assicurato che non voleva nulla e desiderava soltanto che altri bambini non soffrissero quello che dovevano soffrire i suoi bambini. Lo spirito di Otieno è la ragione per cui il Kenya ce la farà ad uscire da questa notte senza stelle. La sua è una luce capace di illuminare l’oscurità e fare rinascere la speranza che è possibile rispondere al male con il bene. Anzi, è l’unica via degna dell’uomo e capace di elevarlo dalla follia della vendetta. C’è una profondità di bene nascosta nel cuore di molti, e spesso fatica solo a trovare la strada per potersi esprimere."

Don Gabriele Pipinato, presidente dell'AssociazioneSaintMartin

Immagini tratte da InsightKenya

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie per lo spunto di riflessione.
Ci risulta così facile non pensare a quanto succede nel mondo solo perchè lontano dalla nostra vita quotidiana.
Elisa