KENYA: LA NON NOTIZIA DELLA NONVIOLENZA
Dal
Le agenzie stampa nazionali sono più propense a narrare uccisioni o fatti di sangue e meno a raccontare la resistenza civile e nonviolenta di singoli ed organizzazioni di società civile. Mi presto a farlo nei media che sono interessati ad andare oltre gli scoop. La gente del Kenya ha resistito all’avanzata di pochi facinorosi con la nonviolenza. Forse più per interesse che per credo profondo ma sia i commercianti che gli insegnanti non hanno tempo per la guerra. Questa è stata la novità. I kikuyu della Rift Valley, e non solo, volevano riaprir bottega ed i docenti luo di Eldoret tornare all’università.
La forza della quotidianità s’è spostata con forme di nonviolenza attiva e solidarietà concreta affatto trascurabili. A Nyahururu, per esempio, i profughi sono stati ospitati nelle comunità di diversi villaggi anziché in campi anonimi. Le comunità si prendono tutt’oggi cura di loro condividendo il poco cibo mentre la cooperazione fornisce medicine e coperte che possono tornar utili anche agli indigeni. Nulla di strano. Siamo tutti poveri. Gli aiuti transitano nel mercato nero il giorno dopo in quanto il mercato dare-avere risponde meglio ai bisogni dell’Alto Commissario per i Rifugiati. L’ “emergenza su base comunitaria” arricchisce anche i locali e serve come antidoto alla calunnia, divulgata scientificamente e alla separazione etnica che, economicamente, è una stupidaggine. Si può violentare colui di cui ti sei preso cura? Difficile. Si può violentare un tuo fornitore o un tuo cliente? Altrettanto difficile. Semmai spremere ma non certo uccidere.

Impazzito il trono, dunque, ci provò l’altare. All’equatore il 30 gennaio – in occasione del 60° dalla morte del Mahatma Gandhi – tutte le Chiese, compresa la moschea, si sono incontrare per organizzare la più imponente manifestazione nonviolenta della Provincia, che passò di mercato in mercato anche perchè in Africa tutto è mercato. La marcia ha avuto un’eco “straordinaria” in Europa tanto da guadagnarsi sei righe di una sola agenzia stampa. Nonviolenza – non notizia. Terminata la giornata i sei vescovi / patriarchi / imam si sono autoaccusati di non essersi incontrati prima del conflitto ma solo dopo. Un monito per la futura diplomazia preventiva.
I media locali all’unisono hanno fatto muro comune contro la violenza. Addirittura con editoriali congiunti firmati da più direttori. TV, radio e giornali a dimostrazione che di Radio Mille Colline, che nel ’94 incitò al genocidio, non ve ne saranno più nei Grandi Laghi. Anche la polizia, da sempre tra le più corrotte al mondo, in molti casi s’è distinta per ospitare i profughi all’interno delle proprie caserme prestando i primi soccorsi. Non tutta, certo. Molti militari hanno peggiorato la situazione seguendo la paura diffusa.
A Nairobi mentre gli aerei rimpatriavano i cooperanti stranieri non cessavano le attività di azione nonviolenta e interposizione nelle baraccopoli organizzate localmente da alcune comunità di base. Purtroppo fanno da contraltare “finte” organizzazioni non governative che si stanno arricchendo puntando sull’incapacità dei donatori e singoli a discernere ed incettando fiumi di denaro riversati sull’emotività che l’emergenza crea.
Non solo attività non governative, quindi. Anche Statuali. La presenza immediata di Desmond Tutu, già Premio Nobel per la Pace e di altri mediatori africani e capi di Stato come Museveni dall’Uganda hanno aiutato a non peggiorare le cose. Tutti hanno interessi che la Metropoli ritorni a governare l’Africa dell’est, che Mombasa riapra il suo porto con l’Asia e che le arterie con la Tanzania siano valicate da treni e autotreni. Il “tanto peggio tanto meglio” dei guerrafondai sembra avere le ore contate.
Le
A livello regionale la coincidenza del vertice dell’Unione Africana nella vicina Addis Abeba ha portato ad una pressione verso le forze politiche affinché si trovi un accordo onorevole. L’Onu ha fatto il suo dovere e sta mediando. La Cina, infatti, rivendica i propri investimenti in Africa e non può permettersi ritardi nello scalzare l’India e l’Europa. Accoglie quindi l’invito di Francia nel Consiglio di Sicurezza per condannare le ampie violazioni. La presenza sia dell’attuale che dell’ex Segretario generale Kofi Annan, anch’egli africano, è determinante per il difficile percorso di pace. I due contendenti a la Presidenza circondati da una pletora di arrivisti si sentono “obbligati” nel trovare una soluzione politica al contenzioso.
Tutti impuniti? Affatto. E’ arrivata una delegazione dell’Alto commissario per i diritti umani per indagare sulle "gravi violazioni” commesse. Il “fare subito chiarezza” senza aspettare che il tempo ricopra di polvere rossa il sangue versato può aiutare il paese a rielaborare le proprie difficoltà. Ipotizzando, da subito, strade meno violente perché sia oggi che domani sarà comunque “impossibile cancellare le macchie di leopardo” (proverbio kikuyu).
Insomma, l’attuale “processo nazionale di dialogo e riconciliazione” lo si deve a tutti i portatori d’interesse. Nessuno escluso. La Pace come vero affare. Forse l’unico. La pulizia etnica una follia inutile. Banale. Nessuno ci guadagna. Ed è per questo che non ha affascinato le masse ma solo pochi esaltati.
Articolo tratto da Korogocho.org
Immagini tratte da InsightKenya
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