Senza dimora di 48 paesi, profughi palestinesi, disabili psichici di Milano. Storie di atleti speciali, con un sogno ai loro piedi

Il calcio dimostra che si può entrare al 90°. E vincere.
Ci sono persone che hanno dimostrato la volontà di riprendersi la propria esistenza giocando a pallone. Come i giocatori senza dimora della Homeless World Cup: dopo l'edizione del 2004 il 38% di loro ha trovato un lavoro. E una speranza nuova.
Non chiamatelo gioco. Il calcio è un inebriante rito collettivo fatto di passioni, furori, sogni di gloria e cocenti delusioni. Macchina da soldi per i detrattori, fabbrica di poesia per gli estimatori, sfruttando la sua capacità di catalizzare l'interesse del pubblico il football può diventare una formidabile occasione di riscatto per chi rischia di essere relegato sulla panchina della vita.
Come la portoghese Sara Coelho (nella foto a lato; ndr), che a Edimburgo ha disputato l'edizione 2005 della Coppa del mondo dei Senza dimora, vestendo i colori della nazionale.
Sofferente fin dall'infanzia di una malattia mentale, Sara ha alle spalle una storia familiare travagliata che l'ha portata all'alcolismo, alla tossicodipendenza e all'abbandono della casa dei genitori, finendo sulla strada.

La sua storia è simile a quelle dell'afghano Moshen Soltani, del cinese Cheong Wa Chau, del sudafricano Nkosinathi Mkhonono e dei ragazzi "italiani" di Multietnica, la nazionale azzurra composta solo da immigrati, vincitrice delle ultime due edizioni della Homeless World Cup. Per tutte queste persone il calcio ha rappresentato molto più di una semplice partita: il 90% dei 204 giocatori che hanno disputato l'edizione 2004 della Homeless World Cup a Göteborg ha dichiarato che la manifestazione ha avuto un impatto positivo sulla propria vita.
Dopo aver disputato il mondiale, il 38% dei senza dimora ha trovato un lavoro, il 46% ha migliorato la propria condizione abitativa, il 34% si è iscritto ad un corso di studi, il 27% è uscito dalla droga, il 72% ha continuato a giocare a calcio anche dopo la competizione e in 16 hanno addirittura avuto un contratto in club professionistici o semi-professionistici, come giocatori o membri dello staff tecnico. E poi dicono che il calcio è solo un gioco.
Articolo tratto da TerreDiMezzo.it
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