12 settembre 2007

L'Africa si connette e il peyote sparisce


Cellulari contro la povertà: presto reti di telefonia mobile in 79 villaggi africani


Circa mezzo milione di persone, che le Nazioni Unite definiscono "i più poveri tra i poveri" presto saranno in grado di fare telefonate con i cellulari. Abbattere il digital divide nei paesi economicamente svantaggiati è una priorità che riguarda tutto il mondo industrializzato. Le iniziative sono molteplici e tra queste si inserisce il programma Millennium Villages dell'Onu, che si pone come obiettivo quello di estendere le reti della telefonia mobile in quelle zone che non vengono considerate importanti dalle società telefoniche perché non garantiscono un adeguato ritorno degli investimenti. Parliamo dell'Africa rurale, in particolare di 79 villaggi di 10 regioni africane.
Tutte aree – ha sottolineato l'Onu – dove la denutrizione è cronica ed è spesso accompagnata da malattie (curabili nei Paesi industrializzati), impossibilità di accedere alle cure sanitarie e grave carenza di infrastrutture. L'iniziativa, che vede la collaborazione dell'Earth Institute della Columbia University, è partita nel 2004 a Sauri, in Kenya e prevede che nei prossimi mesi sarà possibile dotare 79 villaggi africani di regioni come il Mali, l' Uganda, il Senegal e l'Etiopia, di reti mobili che potrebbero notevolmente migliorare la qualità della vita degli abitanti di queste aree, che molto spesso non hanno accesso a servizi basilari come l'acqua corrente o l'energia elettrica. Per Jeffery Sachs, consigliere speciale Onu, «il ruolo delle tecnologie mobili si sta notevolmente rafforzando, specialmente nelle aree remote, dove la capacità di comunicare è vitale».
È ormai dimostrato infatti che l'uso delle comunicazioni mobili è un potente traino per la crescita economica: secondo la London Business School , una penetrazione mobile del 10% è in grado di spingere la crescita annuale di un Paese dello 0,6%, dal momento che in molti Paesi in via di sviluppo i cellulari rappresentano l'unica infrastruttura disponibile in grado di migliorare la produttività. Le infrastrutture, così come i pannelli solari per ricaricare i telefoni, sono state fornite gratis da Ericsson Mobile, ma i servizi saranno fatti funzionare ed addebitati agli operatori locali.
Nella maggior parte dei paesi, Ericsson installerà una rete 2G, in grado di maneggiare le chiamate in voce come pure i trasferimenti dati via satellite alla velocità di 200 kilobit al secondo (kbps). «Una rete a banda larga di buona qualità che permette ai portatili di collegarsi ad Internet» spiega Carl-Henric-Henric Svanberg, Ceo di Ericsson ai microfoni della Bbc. Svanberg ha inoltre assicurato che la ditta istallerà presto reti 3G. Gli investimenti nel settore delle telecomunicazioni, secondo i dati dell'Itu (International Telecommunication Union) hanno raggiunto in Africa gli 8 miliardi di dollari nel 2005 contro i 3,5 miliardi del 2000. Le spese hanno riguardato un po' più le reti di telefonia mobile, il cui numero si è moltiplicato per cinque durante lo stesso periodo.
Tuttavia resta ancora molto da fare, rispetto al resto del mondo, per quanto riguarda la copertura internet. Nel 2005 meno del 4% degli Africani aveva accesso alla rete, contro il 9% di media dei Paesi in via di sviluppo. La banda larga non raggiunge l'1% della popolazione. Le lacune delle infrastrutture si traducono con dei costi d'uso più elevati sia per i singoli utenti che per le aziende, il 70% del traffico internet africano passa su reti impiantate fuori dal continente. Senza contare che le moderne tecnologie mobili e wireless dovrebbero garantire l'accesso a internet a banda larga, permettendo di bypassare la necessità di costruire infrastrutture fisse. Il segretario generale dell'Itu, Hamadoun Touré, ha proposto un Piano Marshall per lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione in Africa.
Touré ha ricordato l'obiettivo delle Nazioni Unite è di collegare tutti i villaggi del mondo a internet per il 2015, essenziale per creare le condizioni di uno sviluppo economico più vasto. Per indirizzare le sue azioni, l'Itu organizza per il 29 e 30 ottobre un summit a Kigali su "Connettere l'Africa". Questo importante appuntamento nella capitale del Rwanda chiamerà a raccolta i rappresentanti dei governi, ma anche quelli del settore privato e delle organizzazioni internazionali.La realizzazione di reti mobili nei villaggi più poveri dell'Africa diventerebbe cruciale anche per l'educazione dal momento che non solo i bambini di questi villaggi potrebbero acquisire abilità informatiche, ma anche avere accesso a "un mondo di informazioni". Secondo un rapporto della Banca Mondiale, negli ultimi 25 anni, i Paesi in via di sviluppo hanno visto crescere in maniera considerevole la possibilità di accesso alle tecnologie ICT, soprattutto intese come linee telefoniche.
Tra il 1980 e il 2005, il numero di utenti dei servizi telefonici è cresciuto di oltre 30 volte. Lo sviluppo maggiore si è registrato nell'Europa dell'est e in Asia Centrale, dove dal 2000 al 2004 il numero di linee telefoniche è più che raddoppiato a 730 persone su 1000. Nell'Africa Sub Sahariana, il livello di linee è triplicato ma la percentuale di utenti è ancora molto bassa, a 103 persone su 1000.
Durante lo stesso periodo, la crescita maggiore nel numero di utenti Internet si è registrata nell'aria Medio Oriente – Nord Africa, che ha registrato un +370%. La strada da fare perché l'Icu divenga catalizzatore di crescita e progresso, però, è ancora lunga, dal momento che in quasi la metà dei Paesi del mondo i servizi di linea fissa e Internet sono forniti da monopoli, cosa che rende i costi di tali servizi inaccessibili alla maggior parte della popolazione.

Articolo tratto da IlSole24Ore.com

Forse riusciamo a dare l'opportunità a tutti di entrare nel sistema (giusto o meno che sia questo è un altro discorso)...



Addio al peyote della beat generation: Cactus dei sogni a rischio estinzione
Saccheggiata per decenni, la pianta dello "sballo" sta scomparendo. Cresce in Messico e Usa. E' usata anche dagli indios nelle cerimonie religiose.

Addio al peyote, il cactus magico degli indios del Messico che ha "fatto sognare" generazioni di giovani turisti europei ed americani trascinandoli carponi nella ricerca del frutto tra i sassi della Sierra. Addio a quel minuscolo ciotolo secco e immangiabile che sa di calce e anche alla mescalina di cui è ricco, quella che ha regalato allucinazioni e visioni agli scrittori beat in fuga dal Moloch dell'imperialismo. Addio miraggi. Secondo il Financial Times, che riprende un articolo uscito sull'Universal di Città del Messico, il "Nahuati" (o "Lophophora williamsii", nel suo nome scientifico) sarebbe ormai in via d'estinzione. Un fantasma. Non ci sarebbero - spiega l'articolo - prove concrete della sua prossima estinzione ma fonti accademiche segnalano che è sempre più difficile trovare il cactus nel deserto a nord del paese.
Il peyote è una pianta molto particolare, ci mette trent'anni a crescere e il saccheggio di mezzo secolo l'ha fatta diventare quasi introvabile. Fu infatti negli anni Sessanta che, sulla scia dei libri dell'antropologo Carlos Castaneda - A scuola dallo stregone su tutti - , centinaia di giovani americani, Kerouac compreso, fecero il viaggio nel deserto dal Texas alla scoperta del peyote e delle sue allucinazioni. E, spiegano gli esperti, iniziarono a provocarne la perdita perché invece di tagliare solo la sua corona verde offrendo al cactus la possibilità di rigenerarsi, di solito i turisti strappano tutta la pianta, uccidendola.
Oggi, quel che più preoccupa gli accademici come il professor Pedro Medellin dell'Università di San Luis Potosì non è la riduzione della biodiversità o la perdita del flusso di turisti occidentali a caccia di mondi virtuali ma la difesa della cultura degli huicoles, gli indios che da sempre usano il peyote nelle loro cerimonie religiose. Per loro le allucinazioni sono una forma di comunicazione con gli dei ed ogni anno, una volta all'anno, gli sciamani huicol camminano a piedi anche per 500 km in cerca dei loro cactus. "Vorremmo proteggerlo - dice a l'Universal uno sciamano che si chiama Andrés Carrillo - ma nessuno rispetta il peyote. La prima volta che lo mangiai avevo nove anni e ce n'era tantissimo, oggi è quasi introvabile". Ma la cosa che più lo preoccupa è che senza peyote - dice - i bambini huicol non potranno capire. "Il peyote è un libro, un maestro. Non puoi apprendere se non hai mai mangiato il peyote". L'uso del peyote risale ad oltre duemila anni fa. Insieme alle cerimonie religiose gli indios lo usavano contro il mal di denti, come analgesico, ma sembra che abbia poteri curativi anche per l'asma e i reumatismi. Come la foglia di coca è una pianta sacra, venerata per le sue proprietà. E come con la cocaina siamo stati noi, dopo averla scoperta, a renderla pericolosa, costosa, illegale. E in via d'estinzione.

Articolo tratto da Repubblica.it

Nooooo!!! Adesso Homer come farà a parlare con i coyote?!

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