Un po' Clinton, un po' Reagan il nuovo stile della Casa Bianca
Afrontare subito il pubblico: lo fece soltanto il presidente Kennedy con i topolini della stampa. La battuta sul cane: sarà un incrocio come me.
Poiché

Uno nel quale il futuro presidente sa addirittura prendere in giro sè stesso, non gli altri, e promette di regalare alle bambine un cagnolino senza pedigree, un mutt, un incrocio di razze, "come sono io", sdrammatizzando con una parola sola tutta la retorica debordante del "nero alla Casa Bianca". E ricordarci, sorridendo, che tutti, al mondo, siamo mutt, incroci di razze diverse, come lui.
Per fare quello che soltanto il suo ovvio modello, Kennedy nel 1960, fece, affrontare subito, a urne ancora calde l'esame pubblico della conferenza stampa per dirci, implicitamente e quasi subliminalmente, che lui non ha paura di quello che lo aspetta e dunque neppure noi dobbiamo avere paura, ha scelto un giorno di nuovi, e spaventosi scricchiolii dell'economia americana. 240 mila disoccupati in più, un milione e 200 mila posti di lavoro scomparsi soltanto quest'anno, la General Motors che fa sapere di avere finito i soldi.
Lo fa non perché abbia soluzioni miracolose da offrire per raddrizzare il bilancio catastrofico ereditato dal predecessore Bush, oltre l'attesa promessa di un "stimolo" di una nuova pioggia di assegni e di riduzioni fiscali per la classe media, ma per indicare da subito quale sarà il proprio stile di governo, la "trasparenza" che aveva promesso, quella voglia di "assumersi le responsabilità".
Come Reagan giocava al buon padre che rimbocca le coperte ai bambini la sera, così Barack Obama vuol dare il senso, e non ancora la sostanza, che lassù, all'ultimo piano del potere, sta entrando un giovane adulto. Non più un vecchio ragazzo.
John F. Kennedy, che adorava il rischio delle conferenze stampa e si divertiva a bluffare con i giornalisti, attese appena 48 ore, dalla vittoria strettissima dell'8 novembre al giovedì successivo, il 10, per convocare la stampa e affrontare subito il problema della

Lo "stile Obama" non è quello di Kennedy, del gattone che gioca con i topolini della "press" e magari mente, come fece JFK negando di avere problemi di salute. Il "presidente eletto" come vuole il suo titolo prima del 20 gennaio, semmai ricorda quello di Franklyn Roosevelt e del suo "la sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa".
Obama è un centrista clintoniano, non quel "marxista in pectore" che la campagna avversaria aveva cercato invano di dipingere, un seguace di quel "parlare a sinistra e governare al centro" che Clinton, un altro che assaporava le conferenze stampa fino a quando fu costretto a parlare non di politica ma a mentire su "relazioni sessuali che non ho mai avuto", aveva adottato.
Governare al centro, per la classe media che è di operai come di impieg

Chi ricorda le esitanti conferenze stampa di "W" Bush che le centellinava per paura, la rabbia torva di Nixon che gridava "non sono un mascalzone", sapendo di esserlo, il tedio mortifero dell'ingegnere Jimmy Carter che passava dal misticismo alla pignoleria del tecnico che spiega il funzionamento di un reattore, non può non rallegrarsi che alla Casa Bianca sia tornato qualcuno che avvicina l'abilità comunicativa di Reaga

Scelta per la quale, "ho consultato ex presidenti e il presidente in carica", il cui terrier ieri ha morso la mano di un reporter, forse geloso del futuro "first dog" che lo soppianterà, del nuovo "cane supremo" e allegramente "bastardini".
Anche chi gli aveva votato contro, pensando all'arrivo di un ideologo con piani quinquennali in tasca, ha visto che alla Casa Bianca non è arrivato soltanto un uomo giovane, snello ed elegante. Ma qualcuno che invece di provare pietà per i poverelli, come proclamava Bush il "conservatore compassionevole", sa che la macchina del governo, la sola lobby dei senza lobby, deve riportarli al centro del proprio lavoro. O rischiare di distruggere il "sogno" di tutti, non soltanto quello, ora finalmente realizzato, di Martin Luther King.
Articolo tratto da Repubblica.it